as long as you stay


Maximilian Lee sostiene che sono le nostre azioni a definirci, e Rebecca King sa di essere pericolosa perché nella vita non ha fatto che prendere decisioni rischiose. Il viaggio in elicottero sembra non finire mai e lo fa tutto in apnea, per essere sicura di non disturbare il respiro di Lucas con il proprio. Ogni tanto i macchinari suonano in maniera inusuale e ogni allarme che ha in corpo inizia a farle contorcere le viscere. Le viene da vomitare ogni volta che la possibilità di perderlo tra Philadelphia e New Orleans si fa più consistente, finché nello stomaco non le rimangono solo la bile e un terrore cieco. Ha lasciato ogni cosa, ma l'ha fatto abbastanza rapidamente? Ha perso tempo? Avrebbe dovuto ascoltare Spencer Queen? Ha trovato fiducia liquida nell'ultimo sguardo che Lucas è riuscito a offrirle prima di piombare nel sonno chimico, ma se la meritava? Sta per ucciderlo?

Connor McGallaghan salverà gli Stati Uniti d'America dalla catastrofe nucleare e mesi prima le chiese, in un locale fumoso con la musica troppo alta: da quanto tempo esiste questo Lucas? Lucas esiste da prima di lei ed esisterà dopo di lei, l'ha sempre pensato: è bravo a evitare il pericolo almeno quanto lei è capace di incassarlo, è bravo a ragionare sulle cose esattamente quanto lei è brava a placcarle di peso, è bravo a prendere la mira almeno quanto lei è brava a sparare due volte. Morire per primo è una vigliaccheria che non gli si addice.

Il cuore smette di battergli per la terza volta in ventiquattro ore mentre l'elicottero sta calando sul tetto dell'ospedale. Una pletora di barellieri, medici e infermieri lo spingono correndo in rianimazione, mentre lei li segue col cuore in gola e inciampa su ogni parola che vorrebbe dire, cerca di scavalcarli, di rimanergli vicino, e finge di non sentirci quando un infermiere la spintona lontana e, pieno di frustrazione, chiede chi ha avuto la fottuta idea di spostarlo? Prova a entrare nella sala di rianimazione con lui, ci vogliono due persone per trattenerla fuori mentre lei si agita, si solleva, urla minacce e si sporge per vedere il suo petto sussultare delle cariche elettriche che gli bruciano la pelle nel tentativo di fargli ripartire il cuore. Confusa, non si rende quasi conto che la sua famiglia è lì. Che l'unico fratello che le rimane sta chiedendo agli infermieri di farli passare e che sua nonna le poggia un palmo tiepido sulla nuca, chiedendole basta. Basta, Rebecca King. Ne dichiarano il decesso alle sedici e diciotto in punto. 

Non ho mai voluto una donna quanto voglio te. E non ho mai amato una donna, quanto amo te.

I medici se ne vanno, seguiti da infermieri convinti a lasciare la famiglia da sola dai singhiozzi increduli di una donna che poco tempo fa era tra i capi della più importante agenzia federale del Paese. Si lascia scivolare all'indietro mentre geme come una bestia da caccia appena catturata in una tagliola, e se non cade a terra è solo perché Andre le preme il proprio petto contro la schiena e le circonda le spalle con le braccia. Le lacrime non le fanno vedere niente, ma va bene così: non vuole vedere. Non vuole vedere sua madre che si avvicina alla barella con la pacifica calma che nulla è mai riuscito a sottrarle, neanche la morte dei suoi stessi figli. Non vuole vederla fare un cenno ad Andre, e non vuole vedere Lucas - soprattutto Lucas -. Per cui quando Andre la trascina verso di lui, piange di lasciarla andare. Dice che non vuole, dice che non voleva, e mentre un terremoto le scuote il petto impedendole di respirare dice sono arrivata tardi, ma', volevo arrivare prima, sono arrivata tardi, perdonami, perdonami, perdonami. Si agita e si batte anche quando Andre le prende i polsi e li consegna a Tyonda King. 

Lei glieli bacia, entrambi. Su uno c'è scritto "Jamal", sull'altro "Tariq". Lutti in fila, lutti simmetrici. Le conduce i palmi sul petto nudo di quello che è stato suo marito fino a un attimo fa, e glieli tiene fermi mentre Rebecca scivola in ginocchio vicino alla barella, con il capo abbassato e neanche lo spazio per un respiro nei polmoni. Andre la costringe a rialzarsi, mentre Justine, sua nonna, le passa le dita sulle tempie sudate e tra i capelli intrecciati. Sua madre sospira a fondo. Aspetta con la pazienza dei santi, Attende che la rabbia lasci il posto a una disperazione sedimentata. Che la polvere si adagi sul terreno. Rimane dritta come una quercia, mentre sua figlia rimane piegata su se stessa, spezzata da un vento più forte di lei. 

"Rebecca", la chiama piano, con una dolcezza tiepida. "My child, my love. Sei al sicuro. Sarete al sicuro."

Alle sedici e ventidue un'ombra di colore si affaccia su zigomi immobili. Una promessa.


water


«Se muoio, saranno fatti miei.»

- - -

Anni prima, Tariq le diceva qualcosa di non troppo diverso. Non a voce, ma con l'arroganza dei delinquenti da due soldi del loro quartiere. Col petto in fuori e l'aria di un pitbull sempre pronto ad attaccar briga. In questo, il ragazzino è leggermente diverso: non risponde. Quando Rebecca prendeva a schiaffi e spintoni suo fratello, suo fratello prendeva a schiaffi e spintoni lei. Andre li divideva e Jamal li guardava da lontano, scuotendo la testa (già allora si sentiva migliore di tutti loro, destinato a cose più grandi che non fossero rimanere incastrato a Magnolia per il resto della sua vita).

- - -

« Wake - the fuckin' - up. Su questa strada non sei niente, sei una vittima del sistema, un topolino rimasto schiacciato dagli ingranaggi. Sei nella catena di montaggio. Questa è la catena di montaggio. Non la stai mettendo in culo ai potenti, ragazzino, stai chinando la testa e facendo il gioco di chi ti ha messo nelle condizioni di fallire. E sarai l'ennesimo poveraccio che non avrà avuto la forza di tirarsene fuori.»
- - -

Non è che solo perché a te è andata bene, le aveva detto Tariq, vuol dire che può andare bene a tutti... guarda come è andata a Jamal. Io qua ci vivo, non come te che sei scappata mollando tutti. Poi chi resterà con ma' e la famiglia, ci hai pensato? 'Dre e la merda che si cala? 'Dre che non si sa quando esce? Che cazzo di ipocrita: tu ti sei arricchita e vuoi impedirmi di fare i soldi buoni nell'unico modo che conosco. Well, try 'n stop me: non puoi. Perché non sei più qui. Non ci sei da un sacco di tempo.

- - -

Lucas le ha detto che lui avrebbe sparato alle gambe. Non ha voluto spiegargli di come ogni cosa alla periferia dello sguardo e della mente le si offuschi non appena prende la mira. Le hanno insegnato a causare il massimo danno nel minor tempo possibile, e quella memoria ce l'ha ancora nei muscoli, anche se prova a cancellarsela dalla mente. Gli ha detto di volere dei figli, però. Se sopravviveranno. Se un suo ennesimo errore non causerà la distruzione di metà paese. Tutte le notte sale sul tetto del building, si siede sul bordo e pensa tutto questo potrebbe non esserci domani. E lo ripete a bassa voce, per sentire come suona. Tutto questo potrebbe non esserci domani. Ma a differenza di tutte le altre notti, questa volta si sporge appena di più. Non serra i muscoli, e si lascia scivolare in avanti. Nel vuoto.

- - -

A otto anni si nascose dietro la porta socchiusa del soggiorno di casa loro nonostante loro nonna Justine avesse spedito tutti nelle loro stanze. Era abbastanza grande da sapere che Batiste fosse disperso dopo l'uragano, ma non abbastanza da sapere cosa volesse dire. Pensava soltanto che fosse perso, che non riuscisse a ritrovare la strada. Immaginava il padre biologico di Tariq - che li aveva accolti tutti quanti come fossero figli suoi - vagare confuso nella New Orleans distrutta, senza riuscire a ritrovare la strada di casa, orfano di tutti i punti di riferimento lavati via dalla corrente. Tyonda piangeva sul bordo del divano, dicendo che l'avevano ritrovato nelle celle allagate della stazione di polizia, con i polsi stretti dietro la schiena, i polmoni pieni d'acqua e sul viso gonfio di morte punti più morbidi, più cedevoli, tumefazioni che nessun coroner avrebbe analizzato. Tyonda singhiozzava che era colpa sua e Justine le asciugava le lacrime, ricordandole che non potevano proteggere tutti quanti. Arriva il giorno, disse Justine, in cui devi scegliere.

- - -

A differenza di un proiettile, più si avvicina a destinazione, più prende velocità. Il viso di Sheridan Hoover si confonde già nella sua memoria: dimentica presto le persone che lascia voltando loro le spalle. Un pezzo alla volta, si sempre più isolata. Assediata dalla cattiva fortuna, con la schiena contro il muro. Questo potrebbe confessarlo a Dana, o è meglio che non lo sappia? Questo senso di fine imminente, di un destino avverso già scritto nella pietra. Apre il mantello-aliante all'ultimo momento utile, lo strattone verso l'alto le disloca una spalla che poi chiederà a Tremaine di rimetterle a posto prima di tornare a casa. L'adrenalina non le fa nemmeno sentire il dolore per tutto il tempo che è in aria.

- - -

Questa casa è sicura, le disse sua madre quando aveva otto anni. Sarete al sicuro, finché rimarrete in questa casa. Lei era una bambina e ci credette, ma salì ugualmente sul tetto, di nascosto, nonostante Justine li volesse tutti nelle loro stanze. Sotto l'uragano, vide sua madre sollevare le braccia con i palmi offerti alle onde minacciose, bracci irregolari del Mississippi che una diga fragile non aveva saputo contenere, a cui non aveva saputo resistere. Ricorda sua madre muovere le labbra, ma non ricorda cosa stesse dicendo. Una cantilena, o forse una preghiera. Ricorda lo spavento di temerla trascinata via, e poi come il fiume d'acqua che l'aggrediva di biforcò di fronte a lei, lambendole l'orlo degli abiti e poi allargandosi sempre di più, lontano dalle fondamenta del loro palazzo. Del loro intero blocco. Ricorda la voce di sua madre più forte, ma non ricorda cosa stesse dicendo. Una promessa, o forse una minaccia. I suoi figli sarebbero stati al sicuro, finché sarebbero rimasti in quella casa. Ma prima o poi l'avrebbero lasciata. Prima Jamal, poi Tariq. Presto Rebecca King. Uno a uno, l'acqua li avrebbe trovati. E sarebbe riuscita a trascinarseli via.

knock-down-drag-out



Ma respira?

I medici dicono di sì, ed è l'unica cosa che possono dirle. E' arrivata dalla palestra del Building, senza neanche passare dalle docce, e indossa la bomber jacket a fiori direttamente sopra la canottiera. La stanza in cui l'hanno portato è singola, vuota. Ha pensato di andare sul posto, al Cimitero, ma i suoi uomini ci sono già, Lucas c'è già. Non poteva neanche rimanere ferma, però. Nell'accostarsi al letto di Maximilian Lee, si sente un'intrusa. Forse dovrebbe andare, ma non vuole lasciarlo solo. Mi può sentire? ha chiesto in corridoio. Probabilmente no.

Si siede. Non vorrebbe, ma stando in piedi le sembra di sovrastarlo, e non vuole incombere come si fa sulle bare aperte dei morti, esposte. Come si fa con i cadaveri: è bianco come un cadavere, immobile come un cadavere, ma deve rifiutare di pensare a lui in quei termini. Respira. A volte respirare è abbastanza.
"Mi dispiace, Lee. La gente dovrebbe essere viva o essere morta. Queste vie di mezzo sono l'inferno."
Lo mormora. Pensava che parlare a un comatoso l'avrebbe fatta sentire stupida, ma dire quelle cose ad alta voce ha un effetto stranamente catartico. Liberatorio. E' ciò pensava quando nessuno sapeva dire con precisione se Lucas sarebbe mai tornato a muoversi: che morire sarebbe stato meglio di scoprire il proprio corpo come una prigione con sbarre fitte. Inscalfibili. Si era scoperta a pensare con risentimento al futuro da badante che l'avrebbe aspettata, al fianco di un uomo infelice e immobile che non avrebbe avuto il coraggio di lasciare. Quando ricorda quelle sensazioni, va a cercare una fede all'anulare di Maximilian. Anche lui ha qualcuno che penserà le stesse cose? O forse quel qualcuno sarà una persona migliore di quanto non sia stata lei? 
"E' questa città. Non ho mai rischiato la vita così tanto che in questa città. Nei reparti speciali dell'esercito ci sono regole, calcoli. Sai cosa accadrà o puoi prevederlo con una discreta approssimazione. Ma combattere contro queste cose-- non ci sono regole. Vale tutto e il contrario di tutto. E questo lavoro..."
Serra le labbra. E questo lavoro? Quando le Special Forces le hanno mostrato la porta, tutto ciò che desiderava era un'altra Prima Linea che la tenesse lontana da casa. Un'altra causa a cui dedicarsi anima e corpo, un altro qualcosa che le facesse alzare i livelli di adrenalina. Che le desse quel brivido.
"... Questo lavoro è la cosa che alla fine ti uccide. E' la responsabilità. La gente che si affida a te, che devi proteggere. E' una zavorra, ti bloccano i piedi. Finché non sei diventato troppo lento, troppo ragionevole, troppo impaurito all'idea di sbagliare. Diventi un bersaglio più facile in un ruolo che ti costringe ad essere esposto. E prima o poi arriva qualcuno che prende la mira e spara. E' un lavoro di merda. Mi dispiace che sia toccato anche a te."
 E' un lavoro di merda, ma ce ne sono di peggiori. Torturare la gente è peggiore. Uccidere dei ragazzini è peggiore. Il pensiero le fora il cervello come un ago, e le fa male. Per non mettersi a piangere deve passarsi una mano sugli occhi e schiarirsi la voce due volte. A spingere i cattivi sentimenti nello stomaco è diventata eccellente, ormai.
"Ma sopravvivere a volte è solo una questione di volontà. Di testa dura prima che di pelle spessa. Io lo so, l'ho fatto. Hanno dovuto rianimarmi, due volte. E ho dovuto rianimare me stessa dalla merda che avevo in testa altre due volte. E sono la figlia di nessuno. Tu sei figlio di un Dio, e non c'è Dio che sappia quanto tempo ho passato a sperare che scompariste dalla faccia della terra e smetteste di causarci problemi. Cristo, vi ho odiato. Quindi prendilo come un voto di fiducia: ti conosco poco. Ma preferirei non scomparisti dalla faccia della terra."
Soffia tra i denti un sorriso nervoso, sbuffato, privo di felicità. Si sfiora la fede che porta all'anulare, piano. Schiude le labbra per dire qualcos'altro, forse, ma il rumore di qualcuno che in fondo al corridoio chiede di Maximilian Lee la convince ad alzarsi. Con le dita, sfiora il bordo del materasso sottile, passandoci affianco. Poi, con la massima discrezione, esce dalla stanza, dirigendosi verso le scale piuttosto che agli ascensori.

your chance to transform


E' quello che fai. Scelte impulsive dettate da emozioni uguali a fuochi d'artificio: spettacolari e brevissime. Un giorno qualcuno ti ha detto di vivere ogni giorno come fosse l'ultimo e hai iniziato a farlo, hai iniziato a impegnarti per sentire ogni cosa al duecento percento come le Forze Speciali ti avevano chiesto di non fare mai. Hai compresso nel petto così tanto dolore e tanta gioia che lo sforzo ti ha cambiato la spina dorsale, l'assetto delle ossa. Nelle vene ti scorre il cherosene, il tuo cuore è un innesco e il battito una miccia. Ti lasci conquistare da passioni che bruciano quanto bruci tu senza pensare che dopo il fuoco c'è la cenere. Ti pentirai di tutto.
All'improvvisato banchetto nella mensa del General Hospital, ai loro ospiti precettati a un arrivo rapido si mischia qualche paziente insonne, attirato dal rumore. Lei indossa un vestito ampio e pieno di colori, e per tutto il tempo non ha fatto che appoggiarsi al suo bastone, poi a Marcus, poi a suo marito. Dal suo posto ascolta, affaticata dalla serata, i racconti di Hoover e dei suoi tempi nell'FBI e nella polizia di New York. Non parla del suo periodo sotto copertura, non parla di niente di cupo, o triste, o doloroso. Non parla di tutti i criminali a cui ha sparato con l'intento di ucciderli. Sembra un uomo nuovo, diverso, con buoni sentimenti e buone intenzioni incastrati nei baffi. Lo ascoltano tutti, anche Iris e Marcus. Lui l'ha accompagnata all'altare come forse avrebbe fatto Antoine Batiste se l'uragano non se lo fosse portato via, la sua perdita sciacquata via da una tragedia più grande e più urgente. Dana ha sparso petali di fiori lungo una navata improvvisata, e lei l'ha percorsa lentamente perché non le venisse il fiatone. Prima di fare il primo passo, a Marcus ha detto: è merito tuo, è merito vostro. Un'ora prima, ha osservato Cameron Levy superare la porta della loro stanza con tutto ciò che lo aveva incaricato di prendere, un collage di oggetti e di promesse che ha trascinato tra le braccia insieme a Dana. Quando ha baciato per la prima volta suo marito, non aveva in circolo abbastanza morfina per non sentire la fitta di dolore che le ha attraversato il petto (le ha urlato nelle orecchie: durerà finché i tuoi nemici non impareranno che l'unico modo per ucciderti è spararti esattamente in mezzo agli occhi).

Ma poi Connor, ubriaco, la solleva di peso dal suo posto e le chiede di ballare. Lei accetta a patto che sia lui a trascinarla, a non farla cascare. A ogni giro che fa,  ben attaccata al suo corpo gelido, gli occhi le tornano sulla tavolata occupata da quella minuscola casa che si è costruita a Philadelphia. E' bassa e fragile, fatta di paglia, inadatta a resistere a un altro uragano. Ma è fatta di persone che provano a fare del loro meglio ogni giorno. E' più di quanto avesse a New Orleans? Di sicuro è più di quanto abbia mai avuto nelle Forze Speciali. Ed è abbastanza.

E' abbastanza perché non l'ha ereditato: l'ha costruito. Ha costruito il rispetto e l'onestà, e ha accettato di dire la verità e di farsi dire la verità. Ha chiesto fiducia, l'ha chiesta ogni giorno. E l'ha ricevuta. Senza aspettarselo, troppo presto o troppo tardi rispetto a quanto pensasse, ma l'ha ricevuta.

Connor la fa di nuovo girare, e lei guarda sulla sua spalla. Lucas le sorride, e lei sorride a lui. Se ha costruito tutto quello, allora forse è in grado di costruire anche qualcos'altro, qualcosa che duri. Un matrimonio.
"Siete tutti bellissimi."
Deve essere il modo in cui la felicità veste i volti delle persone. Li illumina, li rischiara. Dismette ogni ombra, anche la più resistenti.



Wasting on nothing
Effortlessly you appear
Sound of the thunder
Reverberate in your ear
This is a slow dance,
This is a chance to transform,
Pause for the silence,
Inhabit the calm of the storm

This is your ocean
Your ocean of night
This is a motion
Your ocean of night
This is your ocean,
An ocean of night,
This is a notion,
Your ocean of night

Love is a feeling
Buried with me in the yard
Gaze at the skyline,
Under the ocean of stars

This is your slow dance
And this is your chance to transform
Lost to a moment,
The moment you confront the storm

This is your ocean
Your ocean of night
This is a motion
Your ocean of night
This is your ocean,
An ocean of night,
This is a notion,
Your ocean of night

I am your hope down the wire,
So you can hold back the fire

half measure


Il sangue che ti lascia le vene è quello di generazioni di donne gigantesche e uomini troppo minuscoli per tollerarne il peso. Le prime, le tue antenate, nacquero, ma non sei sicura da chi: forse da uomini presi liberi dalle coste occidentali dell'Africa francese e trascinati schiavi nella terra di tutte le opportunità, o forse dagli stessi schiavi haitiani trasportati nelle piantagioni come merce. Vai indietro duecento anni, e quel sangue che stai perdendo appartiene a un uomo che si è rivoltato ai massacri dello zucchero per essere poi represso, braccato come un animale, decapitato dopo un processo sommario, la sua testa esposta a monito. Due secoli pieni, due secoli pieni più tardi i tuoi fratelli sono stati abbattuti come cavalli zoppi. La tua sopravvivenza è un miracolo, la tua stessa esistenza è incomprensibile, inspiegabile: dovresti vergognartene. Cosa sei?

Non sei niente, sei una mezza misura. Una combattente mediocre, una leader insufficiente, un'amante infedele, una figlia e una sorella lontana, una soldatessa insubordinata. Una mulatta, che tu lo voglia riconoscere o meno, che ha dimenticato da dove viene, resa pigra da un uomo troppo indulgente e un buono stipendio in una città piena di locali alla moda; pronta a firmare contratti, mutui, scrivere regole e farle applicare, come se fosse una tua prerogativa. Ma tutto torna alle sue radici quando sanguini: recuperi prospettiva, vedi che nulla di tutto questo ha alcun valore, non ce l'ha mai avuto, è di carta sottile e uno solo gesto può strapparlo in due. 

Perché il cerchio si chiude e tu sei solo un'impostora. Questo non è il tuo posto, questa vita non è la vita che avresti dovuto condurre, la casa che comprerai non è casa tua. Mostri che generano mostri che combattono mostri ma le tue fauci sono solo denti, i tuoi artigli solo unghie, il tuo esoscheletro solo pelle mista, il tuo cuore solo un muscolo che ti verrà strappato dal petto, come hanno promesso. I tuoi sogni, da oggi in poi, sono solo gli incubi che i tuoi nemici ti hanno regalato. La rabbia e il risentimento invece non te li ha piantati nel cervello nessuno: sono sempre stati lì, arpionati alle viscere prima che alla testa. Fanno parte del tuo set genetico non meno degli occhi a mandorla e una leggera propensione alla tossicodipendenza. Hai pensato di essere la persona che si ustiona le braccia dalle mani ai gomiti per salvare una sola persona. Quella che si sacrifica per eliminare una minaccia divina. Quella che rinuncia alla vendetta in cambio della Legge.

Ma cento buone azioni non ne cancellano una cattiva. E quindi sei ancora la donna che ha gettato un borsone nero nel Mississippi e l'ha guardato andare a fondo. E sei, irreparabilmente, la stessa persona che ha permesso e incoraggiato la tortura di un diciassette innocente in un campo carcerario al confine di Israele. 

- - -
"Cosa vuol dire Osley?"
"Il suo vero nome è Camp Oysleyz. E' Yiddish, vuol dire: redenzione."

aeons


Lucas oggi mi ha detto.
Sai che non sono brava in queste cose per cui dirò solo:
Auguri Rebecca. 
 - - - 
Thank you.
Mentirei se dicessi che vedere te e Marcus non abbia influito, in qualche modo. 
- - - 
Me e Marcus... davvero? Perché?

 Tarda a rispondere. Quando è andata al loro matrimonio era sola. Si è seduta in fondo e ha guardato la cerimonia in silenzio. Per tutto il tempo la felicità per un amico si è mischiata all'ansia di non essere destinata, di non essere fabbricata per quel tipo di relazioni che durano per sempre. Di non averne la costanza. Che senso ha giurare a una persona un amore eterno se non si ha garanzia alcuna sull'eternità? Quante volte è finita in ospedale solo negli ultimi dodici mesi? Quante volte Lucas ha lasciato le Special Forces salvo poi tornarci pochi mesi dopo?

Non è un modo di vivere, ha ragione sua madre. Eppure mentre guardava Marcus e Iris dirsi per sempre, ha pensato che per loro non voleva dire dieci, venti, trent'anni. Per loro per sempre voleva dire un secolo, forse due. Che garanzie avevano che due secoli non li avrebbero distrutti, separati, allontanati, uccisi? Però erano lì, di fronte a tutte le persone a loro care, a giurarsi che cento anni dopo sarebbero stati ancora lì.

Mesi dopo, davanti agli occhi ha tutti i suoi mostri. Lucas Black le dice che morire lì gli va bene, se vuol dire non dover passare il resto della sua vita con una persona che ha fatto quello che ha fatto lei. Le sfugge tra le dita, come l'acqua non può trattenerlo stringendo. Il terrore di non saperlo difendere e quello di doverlo difendere da se stessa si mischiano in un'emicrania che le riempie la testa delle parole esatte che le dissero per informarla che suo fratello era morto. Che i suoi fratelli erano morti. La voce di una sconosciuta trova echi in mezzo alle sue tempie, le promette che le strapperà il cuore. Cerca di raggiungere Lucas, di proteggerlo, di trattenerlo. Il dolore improvviso la trascina cento metri indietro. Un telepate, ha detto lui. Un telepate, le martella dietro la nuca quando tutto sembra perduto e minacciano di farle domande. Un telepate potrebbe scoprire tutto. Accarezza l'idea di puntarsi la pistola contro la testa, ma i suoi nemici le tolgono la scelta. Ogni muscolo teso si scioglie e lei non sente più niente. Un cuore debole che pompa nelle vene sangue destinato a lasciarle il corpo. Diventa sempre più pallida. A Iris, alla sua domanda, non ha ancora risposto. Anche potesse, adesso non saprebbe più cosa dirle.

I like it when you drive


"Non pensavo avresti avuto il coraggio di rifarti più viva, Rebecca". Lei sospira a fondo e prende dalle sue mani il bicchiere di cognac che le porge. E' seduta sul bordo di un divano grande, alla sua sinistra una parete scoscesa interamente di vetro da cui filtra il buio della notte. Casa di Michael Green è fatta di linee spioventi e tinte futuristiche, arredamenti essenziali, un bel pianoforte che lui sa suonare alla perfezione. "Avevi ragione tu, l'ultima volta ero ubriaca. Non sarei dovuta venire qui. Scusami". Michael versa per sé un whisky liscio e non finge di non aver visto l'anello di fidanzamento che indossa. "Suppongo tu non sia venuta qui a riprendere il discorso", con un sarcasmo asciutto, infelice. Rebecca sorride. "No. Ho un favore da chiederti". 

"Riguarda il tuo fidanzato?"
"Sì."

Michael è un tipo intelligente, ma ha smesso da anni di felicitarsi ogni volta che ha ragione. Invece soffia tra i denti un sorriso amareggiato e incredulo. Pieno dei fumi dell'alcol.

"Ora io ti risponderò di no, e tu mi risponderai che te lo devo."

Rebecca rimane in silenzio, con il bicchiere in mano e i gomiti sulle ginocchia. Con gli occhi lo segue muoversi stizzito, poi lasciarsi ricadere seduto sulla poltrona di fronte a lei. 

"Ma io non ti devo niente, Direttrice King. Non sei una mia superiore, né lo sei mai stata. Non ti ho mai fatto torti, solo il mio lavoro. E se ora non sei in una prigione militare è probabilmente grazie a me. Se ora sei viva, e ti senti una persona migliore, è perché hai avuto occasioni che senza di me non sarebbero mai state possibili. Quindi non ti devo niente."

Rebecca rimane in silenzio, gli occhi bruni gli premono nei suoi come la punta di un fioretto spinta in avanti con costanza. 

"Non ho bisogno della tua amicizia, né del tuo perdono. Di sicuro non di qualsiasi bolo nero di sentimenti e segreti che avevamo ai tempi di Israele. Sei sempre stata una disonesta. Mi hai usato per non pensare a quello che stavi facendo, e io lì, come un idiota, a darti corda. E ora vieni qui, a chiedermi aiuto. Dopo tutto questo."

Lo sguardo è pieno di buio infetto, contagioso. La sicurezza di Rebecca si infrange come il bicchiere che lui schianta contro il muro di vetro. Lei, presa di sorpresa, trasale. Se non sembra spaventata, sembra di sicuro piena di stupore. Di indecisione, una volta tanto. Rimane sul bordo del divano, mentre guarda Michael riprendere pian piano il controllo su se stesso. Un funambolo che è scivolato nel vuoto. Un inciampo, una mano sola a reggerlo alla corda su cui prova a risalire.

"Avanti", la implora poi, senza il coraggio di alzare la testa. Rebecca tentenna, poi lui ripete più forte: avanti.

"E' tornato da una missione con le Forze Speciali da poche settimane, i fascicoli sono sotto segreto. So che era stato selezionato per neutralizzare un telepate che aveva già fatto parecchie vittime, e che era in Siria. Ma nulla di più. Puoi scoprire cosa gli è successo?"

Michael scuote il capo, lo oscilla, lo ruota. Guarda nella notte. 

"Cosa ti fa pensare che gli sia successo qualcosa?"
"Lo so e basta."
"Se è sotto segreto dubito riuscirò a scoprire qualcosa."
"Ma puoi provare?"

Michael rimane in silenzio. Sospira a fondo. Rebecca sospira a sua volta. Poggia il cognac e si alza in piedi.

"Grazie."
"Deluderai anche lui. Lo sai già. Come hai deluso me."

Rebecca sorride, si sfiora il fianco dove le sembra di aver ricevuto la stoccata. Asciuga il sangue e soffia via il dolore, come le hanno insegnato. Non se la prende, come le hanno insegnato.

"Se ho smesso io di vivere nel passato, magari puoi farlo anche tu", si congeda. Disingaggia e se ne va prima di dargli un'altra occasione di bucarle la pelle. Esattamente come non le hanno insegnato.

- - -

"Ora guida. Mi piace quando guidi."


doomsday


Philip la raggiunge e si siede accanto a lei, come al solito: sul bordo del tetto con le gambe che pendono nel vuoto. Le prende dalle dita la sigaretta mezza fumata e se la tiene per sé. Sotto i loro piedi, un'intera città dorme. Nelle sue strade si annida l'innesco per la fine del mondo, e Rebecca King è una delle poche decine di persone autorizzata a saperlo. "E ora che farai?", le chiede Philip.

"Torno a casa mia con il mio uomo, e tu dovresti fare lo stesso - risponde lei. Ritira le ginocchia e si alza in piedi - da domani avremo solo giornate difficili", sospira. E sospira anche Tremaine. "Direttrice", la saluta. Non la guarda neanche andare via: come tutti quelli che hanno letto il fascicolo Alpha Event, ha e avrà in testa una cosa sola. 

It's the end of the world as we know it,
yeah it's the end of the world as we know it,
it's the end of the world as we know it,
and I feel fine.

beggars and choosers


- E tutto questo è per un'indagine?
- Sì, come le ho detto...
- E' che di solito vengono dei semplici agenti, non la...
- Erano tutti occupati. Questi file, quindi?
- Ho settantadue risultati, direttrice King. Deve darmi qualche riferimento più preciso, purtroppo abbiamo molti minori con malattie terminali ricoverati.
- Okay, okay... minori di sedici anni, allora.
- D'accordo... cinquantacinque risultati. 
- Okay... cui un trapianto non salverebbe la vita? Terminali senza... possibilità di ripresa.
- D'accordo... rimaniamo ancora intorno ai trentacinque nomi, vuole che le stampi la lista?
- No. Mi trovi quelli con le peggiore assicurazioni sanitarie.
- Scusi?
- Sì, quelli che riescono a stento a pagarsi le cure.
- Ce... ce ne sono sei con le peggiori assicurazioni sanitarie. 
- Quanti afroamericani? 
- Quanti afroamericani?
- Quanti afroamericani.
- Due, direttrice. Jayden Lewis, dodici anni, leucemia, mutante. E Makayla Jones, quindici anni, osteosarcoma.
- E cos'è? L'ultima cosa che ha detto.
- L'osteosarcoma? Un tumore delle ossa molto aggressivo... temo di non poterle dire altro, a meno che non abbia un mandato...
- La stanza in cui si trova può dirmela?
- Di Makayla o di Jayden?
- Di... entrambi. Entrambi.

- - -

Di fronte alla stanza di Makayla Jones c'era un uomo sui quarant'anni che ha deciso di andare a prendersi l'ennesimo caffè per combattere la stanchezza. Rebecca si affaccia sull'uscio e osserva il profilo di una ragazzina giovane, che non somiglia a nessuno che conosce. Vorrebbe svegliarla e farle tutte le domande che ha preparato. Come va a scuola? Cosa vuole fare da grande? In cosa crede? Cosa farebbe con un'altra possibilità? Invece si risolve tutto in un sorriso sfuggente quando le raggiunge il viso e le vede il sottilissimo strato di capelli che le copre il cranio. Tinto di blu.

Makayla apre gli occhi molto piano, percependo una presenza accanto al letto. 

- Chi sei?

Rebecca sospira a fondo e scrolla le spalle.

- Oggi un'amica. Sai mantenere un segreto?

Makayla promette di sì.

out of key


New Orleans, Louisiana
ore 02.23 A.M.

Casa di Garrika King non è grande né piccola. E' esattamente della grandezza che viene assegnata a nuclei familiari di quattro persone lì a Magnolia. E' più grande di quella in cui sono stati a Philadelphia, a Panama Street, questo è certo, ma Garrika avrebbe preferito rimanere a nord, lontana da New Orleans. Andre ha insistito per riportarli in Louisiana, hanno fatto le valigie e traslocato di nuovo nel giro di quarantotto ore. Adesso i suoi figli - una bambina riflessiva e un adolescente ruspante - dormono entrambi nella loro stanza. Lei aspetta sullo stretto divano in soggiorno, tra le dita uno smartphone di vecchia generazione che replica all'infinito le immagini di un ampio velivolo che si schianta contro un mostro grande come un palazzo, spingendolo in avanti in un portale in cui sparisce. E il velivolo con lui. Philadelphia.

Sente la chiave di Andre graffiare la porta, sbattere almeno quattro volte prima di trovare la sua strada nella serratura. Si asciuga il viso e si alza in piedi. Quando suo marito barcolla all'interno, trascinando i piedi e rischiando di inciampare più di una volta in tre metri, lei deglutisce il nodo che le stringe la gola e si sforza di non rovesciargli addosso tutta la sua delusione, come fa sempre. Andre, che non si aspetta di vederla sveglia, tende un sorriso che muove solo le labbra, lasciando gli occhi appannati. "Sei proprio la più bella delle stronze quando m'aspetti sulla porta, ah, Gar Gar?", farfuglia mentre si appoggia al divano e poi ci si schianta. Garrika si asciuga gli occhi per la seconda volta.

"Ha chiamato tua madre due ore fa."
"A-ah? Mi prendi un bel bicchiere d'acqua, mi fai il favore?"
"Si tratta di tua sorella."
"Di nuovo, ah-- da mangiare? Me l'hai lasciato qualcosa per cena? Sto morendo di fame."
"Andre."

Andre. La voce di Garrika si spezza su quelle due sillabe in maniera più chiara, Andre drizza le antenne e oscilla occhi opachi su di lei. Da qualche parte sul retro del suo cervello suona, flebile, la sirena di un allarme mormorato. Tiene la bocca aperte, il corpo abbandonato sul divano, le pupille tutte tirate a destra, su Garrika. Il capo non lo volta, quello no: sa che è meglio tenerlo defilato se non si vogliono prendere i pugni sul naso.

"Ha chiamato per tutta la sera dicendo che aveva avuto un incubo dei suoi, era agitata, Roe è andata da lei. Poi due ore fa l'ha chiamata Lucas Black, ed è tua sorella, Andre..."
"Cosa è successo?"
"Non lo so. E' scomparsa. Era assegnata a una missione e... in tv continuano a mandare il video: un aereo che si schianta contro un mostro di dieci metri e poi scompare assieme a lui. Lucas Black dice che quell'aereo lo pilotava lei."

Sotto qualsiasi cosa stia Andre King, non gli impedisce di capire, ma gli toglie tutto il peso della consapevolezza. Sprofonda nel divano senza dire niente, le pupille tornano per inerzia di fronte a sé, prive di messa a fuoco. Boccheggia a vuoto un paio di volte, mentre sua moglie rimane in piedi di fronte a lui, esasperata dalla sua immobilità.

"Andre, mi hai sentito? Rebecca è dispersa. Rebecca è morta. Di' qualcosa."

Lui scuote il capo molto piano. Si sfiora con le dita i tatuaggi con i nomi dei suoi due fratelli: glieli ha disegnati sulla pelle sua sorella, e lui ha tatuato gli stessi nomi su di lei.

"Ho solo due polsi", mormora. sembra quasi distratto. "Ho solo due polsi, e nessuno di loro avrebbe mai dovuto lasciare New Orleans."

* * *

Tyonda King si è premuta una mano sulla bocca mentre sua madre la raccoglieva tra braccia solide. Lucas Black, dall'altro capo della linea, esitava nel dirle che avrebbe voluto sapere come si fa a pregare. Tyonda scuoteva il capo e si impediva di piangere. "Devi riportarla a New Orleans, Lucas Black" gli dice, con un tono più deciso di quello che ci si potrebbe mai aspettare. "Tutta questa follia non ha più un senso. Devi trovarla. E una volta trovata, devi riportarla a New Orleans."



I believe in your victory

Nell'esercito lo chiamano normalmente Trigger. Si tratta di una tecnica che consiste nel visualizzare con estrema vividezza l'immagine della cosa che si ritiene più importante al mondo. Riabbracciare i propri figli o prendersi cura dei genitori malati sono esempi tra i più comuni, ma possono variare di molto: l'importante è che l'immagine sia ragionata nei minimi dettagli e che venga richiamata in momenti di grande difficoltà che rischierebbero di paralizzare anche il meglio addestrato dei soldati. Attraverso l'utilizzo di questa tecnica, è possibile trovare il coraggio e la decisione per affrontare qualsiasi ostacolo si affronti sul campo.

Ogni corpo dell'esercito consente ai suoi soldati di scegliersi il proprio Trigger, ma non le Special Forces. Le Special Forces insegnano a costruirsi un Trigger nuovo di missione in missione, e consentono di usarne solo uno: il successo dell'azione svolta. Poiché lasciare spazio a Trigger personali legati alla propria sopravvivenza rischierebbe di condizionare il conseguimento degli ordini dati, adesso addestrano i propri uomini a visualizzare il raggiungimento dello scopo della propria missione come fine ultimo. Molti disertano: continuano a pensare alle loro mogli, ai loro figli, ai loro genitori. Ma non Rebecca. 

Rebecca ha seguito pedissequamente gli ordini e ha sempre e solo usato come Trigger il completamento della missione. Una volta lasciate le Special Forces, ha lottato per strapparsi dal centro del cervello quell'abitudine. Ha provato a sostituirla con altre cose: presentarsi a New Orleans sana e salva, vedere tutti i suoi nipoti diplomarsi e, per un po', addirittura sposare Lucas Black. Ma nessuno è riuscito a trovarle addosso la stessa presa che ha su di lei la lineare semplicità del perseguimento dell'obiettivo. Quando è in pericolo, l'unica cosa che le permette di non paralizzarsi e di andare avanti è quella: la visualizzazione della vittoria. Ed è l'anelito alla vittoria che utilizza per avere il coraggio di spingersi contro Baal in un robusto velivolo di cui è alla guida e spingerlo in avanti verso il portale che conduce a un'altra dimensione. Mentre viene inghiottita dal nulla, e scompare dalla faccia di questo mondo, non sta pensando a nient'altro: non alla sua famiglia, non a Lucas, non ai suoi colleghi né ai suoi pochi amici. Solo all'obiettivo: Philadelphia liberata dall'incombente minaccia di un Dio. Forse perché sa che, se così non fosse, non avrebbe vinto mai niente nella sua vita. Ed è stata una bella vita.

* * *

"Se incontri un Buddha, uccidilo."

Marcus Dansi

a losing game



[...] Ma non partiamo dagli stessi presupposti, no? «Si sporge appena in avanti, d'istinto.» Per me è successo che un mio presunto amico ha sparato senza motivo al mio fidanzato, non degnandosi poi di cercarmi nemmeno mezza volta in un mese. «Arriccia le labbra in una smorfia accennata, che sostituisce senza troppo trasporto una scrollata di spalle.» Per te è lavoro.

* * *

New Orleans, 2020

Sente la terra smossa dietro la nuca. Il cielo limpido le pesa sul petto come le peserebbero esattamente quindici metri cubi di suolo. L'ultima cosa che si sono detti, lei e Jamal, è stata buona fortuna. Infila le dita nel terreno, fin dove arriva. Cerca di farsi albero, piantare le radici, lasciarsi crescere addosso il muschio d'inverno, venire riassorbita fino al cuore della terra. Ma è solo un fazzoletto verde in una scatola di cemento crepato. Si bussa contro il petto per essere sicura di averci ancora qualcosa dentro. Chiude gli occhi e le sembra di sentirne l'eco, e pensa che quello sia il dolore più grande al mondo, ignorando che di peggiore di perdere un fratello esista soltanto perderne due. E che le sue ossa sono in grado di assorbire entrambi i colpi.

* * *

«[...] Si passa la lingua tra le labbra, le sopracciglia si sollevano per un secondo solo alle sue ultime parole, come tirate da due ami fragili. Alza gli occhi su di lei. Si passa la punta della lingua contro il palato, esita visibilmente. Ma qualsiasi cosa volesse dire, non la dice. Invece sospira, scuote leggermente il capo, fa scivolare gli occhi di latogià. Per me è lavoro.

in my cold arms


C'è una casa indipendente a due piani in un posto che si chiama Appleby Street, Old City, Philadelphia. Ha quattro mura solide e due insegne: una dice Walsh e l'altra dice Black/King, ma la seconda è provvisoria, scritta a pennarello, la prima invece è in ottone. Ha finestre alte e tende pesanti, le pareti candide non hanno mai visto scarabocchi di bambini o manate di adolescenti. C'è una casa a due piani al quarantatré di Appleby Street, in un quartiere pulito, ha anche un garage che un tempo era pieno di tutte le cose che Rebecca ha voluto metterci dentro (moto, macchine) e adesso, quando ci entra con una chiave che avrebbe dovuto restituire, c'è una casa a due piani che odora di polvere e di vuoto ancora prima che accenda la luce. Tasta con le dita l'intonaco finché non trova l'interruttore. La luce era così debole, quando se ne è andata? Cosa sarebbe mai potuto cambiare in due settimane?

C'è una bella casa adeguata alla media borghesia ad Appleby Street e Rebecca ci ha vissuto, per un po'. Ora che ci cammina dentro le sembra di nuovo estranea, come la prima volta in cui ci entrò. Ogni passo lo fa vicino alle pareti, cautamente, ogni cosa che incontra la tocca per ricordarne la consistenza. Con i polpastrelli traccia disegni nella polvere. Qui c'è il camino, qui il divano, qui il tavolo che non usavamo mai, qui la cucina. Qui il corrimano in legno di ciliegio, qui uno dei tre bagni, qui lo studio, qui la nostra camera da letto. Poggia la fronte sulla porta chiusa, bussa piano. Preme l'orecchio contro il legno senza sentire niente. Allora la spalanca, all'improvviso.

C'è una splendida casa ad Appleby Street, ha quattro mura solide, due insegne, una stanza da letto vuota. Rebecca accende la luce, indugia a guardare la finestra perché non vuole vedere cosa c'è sul letto, e dietro i denti prega di non trovare ciò che pensa ci troverà. Ruota il capo con uno strattone, poi lo ondeggia di lato perché è lì. Un letto matrimoniale rifatto in maniera ordinata, ma con i cuscini scoperti, e sulla federa bianca del suo una sigaretta.

C'è una casa ad Appleby Street ed è una casa come tante altre. A Rebecca viene da piangere. Dopo aver girato su se stessa come un cane in gabbia, si avvicina al letto come se fosse fatto d'aghi. Ci si siede sopra, si stende al posto di Lucas. Prende la sigaretta che le ha lasciato e se la infila tra le labbra. Con le mani che le tremano, se la accende anche, se ne riempie i polmoni mentre le sembra di affogare nelle lenzuola pulite. Ha il sapore spiacevole delle Alhamraa, e le si dissolve tra le dita proprio come le sigarette siriane.

C'era una casa ad Appleby Street e profumava di pulito e di legna riarsa, veniva riempita dopo anni in cui aveva sembrato solo costantemente svuotarsi. C'era una casa ad Appleby Street, una bella casa a due piani, e mesi dopo ci accompagnava Lucas Black dopo una lunga assenza che gliel'aveva restituito ferito, quasi morto. L'aveva aiutato a salire le scale, lentamente, e l'aveva steso sul loro letto. Lo aveva fatto spogliare e gli aveva cambiato tutte le fasciature e le bende con una pazienza per lei inusuale. Avrebbe voluto piangere per tutto il tempo, gli aveva chiesto di giurare cento volte che non sarebbe accaduto mai più, che avrebbe chiuso i conti con le Special Forces una volta per tutte. Basta esercito. Basta guerre. Lui aveva giurato. Una, due, tre, novantanove volte. Poi si era addormentato, ma prima di addormentarsi le aveva detto: se mi chiederanno di nuovo di partire, farò in modo di fartelo capire: non dovrai chiederti se sono partito, lo saprai. Ma hai giurato

C'è una casa ad Appleby Street e ora fa così male che Rebecca si addormenta con la sigaretta ancora accesa tra le dita sperando di non risvegliarsi. Alcuni pezzi di vita, ha detto a Levy, non andrebbero venduti, solo bruciati

* * *

I look at you all torn up
I left you waiting to bleed
I guess the truth works two ways
Maybe the truth's not what we need
[...]
But in my cold arms, you don't sleep
In my cold arms, you feel beat
In my cold arms 
You stay

the shape you made me


- E che cosa vuoi, Rebecca?
- Un angolo di vita che non sia un campo da battaglia.
* * *
Lo so che sei incazzato ma è passato un mese senza che ti facessi vivo e quando chiamo Garrika non mi fa parlare neanche con i ragazzini, mi sono rotta i coglioni di questa storia, di te e ti riparare i tuoi fottuti problemi senza ricevere niente in cambio, mi giri le spalle come se fossi l'ultima delle stronze e ora neanche Roe mi risponde. Ho fatto tutto per te 'Dre, ti ho dato soldi quando ne avevi bisogno e ho fatto molto più che darti soldi, e lo sai, e tutto ciò che riesce a venirti in testa dopo ventisei anni è questo fottuto risentimento del cazzo nato perché ho lasciato Magnolia, perché ho provato a fare qualcosa di meglio con la mia vita e ci sono riuscita. Aveva ragione Jamal quando diceva che siete un buco nero, che la nostra famiglia risucchia tutto e ci toglie la possibilità di fare cose, di diventare qualcuno, perché per qualche motivo non andare in galera a diciott'anni e non girare con una pistola nei pantaloni e non spacciare né farsi come degli stronzi è un tradimento di quella bella lealtà che ti sei pure tatuato sul collo. Lealtà di cosa? Lealtà a chi se io sono tua sorella e conosco solo la tua schiena? Funziona che dobbiamo stare vicini solo quando la nostra vita va a puttane? Vai all'inferno. Andateci tutti, uno per uno, voi e la vostra mentalità del ghetto del cazzo, io ne sono uscita, e mi ci sono voluti otto anni ma ora basta. Vuoi essere lasciato in pace, vuoi che i tuoi figli si scordino di me? Bene, racconta a tutti che sono io il nemico, raccontalo a Roe che quella ci crede anche e vent'anni che la conosco non hanno contato nulla, sembra, dillo a Garrika e a Tanika e ai tuoi figli e ditelo ai figli di Jamal e a quello di Tariq, dillo a nostri vicini di casa, dillo a nostra madre. Non me ne importa più niente, non sono io che dovrei nascondermi. Ma tu. Sei tu che non hai fatto niente di te, solo dei figli di cui non ti sai prendere cura e che deludi ogni giorno. Continua a bere, a bucarti, continua a gettarti nel cesso, non è più un mio problema. La prossima volta che ci rivedremo sarà al tuo funerale, ormai a New Orleans ci tornerò solo per i morti e il prossimo sei tu.
* * *

Bruciami la pelle spanna a spanna, hai palmi bollenti e gli errori hanno l'abitudine di rimodellarmi la pelle come se fosse di creta morbida. All'improvviso abito un corpo che non conosco e ogni mattina mi passo le dita sulla bocca, sul naso e sulle sopracciglia per controllare di avere ancora la stessa faccia con cui mi sono addormentata. Trasformami in carbone e poi soffiami tra i capelli per ravvivarmi e vedere se ci sono ancora rami buoni da ardere, ma fallo con discrezione, dimenticatelo non appena il fumo si alza e si spande e io mi perdo nell'aria dov'ero prima torna ad essere un luogo freddo.

Rompimi le ossa, non serve un manuale per farlo. Basta prendere la mira e colpire forte, e poi continuare a battere per scoprire in quanti modi diversi riesco a spezzarmi finché rimane niente a sostenere questi muscoli che ho addestrato alla lotta per anni, perché solo quelli ho potuto trasformare, mentre le ossa mi sono rimaste quelle di mia madre. Si sgretolano senza fatica, se vuoi puoi limarle per vedere se sento dolore, e se ce la fai puoi prenderti quello che proteggono. Trasformale in polvere, oppure ridisegna la struttura del mio scheletro, mettile in ordine come pensi sia meglio, come credi che abbiano più senso per te, per l'aspetto che pensi debba avere una cassa toracica, per come deve legarsi una spina dorsale. Se ne esco paralizzata puoi dire che è stata colpa mia dall'inizio, io non risponderò niente e tu saprai di avere ragione.

Asciugami il sangue: non mi serve, tutto ciò che fa è tradirmi. Lascia che un macellaio ti insegni il modo esatto per drenarmelo dalle vene e poi sii abbastanza paziente da sederti e guardarmi mentre lo raccolgo in bottiglie di vetro, e poi scrivi sull'etichetta a chi apparteneva: non sono più io, sono già un'altra e con i polsi asciutti non ho più niente a legarmi al posto dove sono nata, al destino dei miei fratelli o ai riti di mia madre e di mia nonna. Dissanguami, fallo per liberarmi - le mie arterie scendono nella terra come radici e non c'è modo di reciderle se pulsano di chi ero prima, quindi falle stare zitte, non voglio più questi nodi.

Tagliami tutti i capelli e regalami una crema che mi schiarisca la pelle, vestiti adeguati a coprirmi i tatuaggi e le cicatrici, un coltello per cavarmi entrambi gli occhi - sono vecchi e usati, incrostati di sporco, abili a vedere solo ciò che vedevano dieci anni fa e io non li voglio. Regalameli nuovi, lucidati, magari azzurri. Me li spingerò nelle orbite e batterò le palpebre tre volte, alla quarta il mondo sarà già nuovo. Lavami con la varechina e avvolgimi nella plastica, ora sono pronta. Ci sono, sono come mi hai voluto. Come mi hai fatta.

* * *
- [...] Ogni volta che mi tolgo la divisa sono esausta.
- Smetti di indossarla, se ti uccide in questo modo.
- No. Mai.

it's time for you to go


Quando bussa alla sua porta, Michael le apre. E' convinta fino all'ultimo momento di star facendo uno sbaglio, ma i piedi le rimangono comunque incollati di fronte l'uscio, e poi oltre, attraverso l'ingresso e poi nel soggiorno. Dovresti tornare a casa tua, dice lui, perché? deve chiedergli lei, ma ha già un paio di idee in mente. Perché sei stanca e turbata e ubriaca. Rebecca sorride piano. Non sono così ubriaca, ed è vero, non lo è. Cosa pensavi di me quando ero nelle Special Forces? Lui è a casa sua ma non sa dove mettersi. Rimane in piedi di fronte a lei, sul divano. Pensavo che eri un soldato molto bravo. Lei scuote il capo, e poi cos'altro? 
Pensavo che le persone come te mi facevano paura, che eri pericolosa. E lei: perché? Perché a quelli come voi l'esercito ha insegnato a svuotare la testa di tutto l'inessenziale e nell'inessenziale lasciavi andare anche l'essenziale, il motivo per cui eravamo lì. E poi per Osley, dopo che ho saputo di Fayyad, e ho visto i video, e ho scoperto che erano state istruzioni tue, la tua mano, il tuo target. Lei risponde: Salim non era il mio target. Salim era un ragazzo. Me lo ricordo, risponde lui, e alla fine le si va a sedere accanto.
Ci sto provando, dice lei pianissimo, come in una preghiera. Sto provando a fare il tuo ruolo. E' un ruolo ingrato, e solo, e mi sta bruciando tutti i ponti. Non ho più niente di mio, non un angolo, il lavoro ha ingoiato ogni cosa. Michael sorride e le bacia la fronte. Lei gli bacia la bocca, lui esita ma alla fine non si allontana. Sospira ad occhi chiusi. Dovresti tornare a casa tua, ripete. Me ne andrò se me lo chiederai tre volte, e sei già a due. Michael scuote il capo: quello che cerchi non è mai stato qui, soldato King, le prende le mani per fermarle, gliele chiude tra i suoi due palmi. Solo compagnia, promette lei, e lui scuote di nuovo la testa, redenzione, la redenzione non è mai stata qui, non sono io a poterti perdonare. Rebecca oscilla il capo pigramente, impaziente: io arrivo fin qui, non so andare oltre Michael, questa è la versione migliore di me. La versione migliore di me è un'isola, una zattera in una tempesta, la versione migliore di me ha il venti percento del corpo ustionato e la pelle fatta d'aghi. Si baciano di nuovo, si cercano, si ritrovano finché Michael prende un respiro profondo, prende un respiro doloroso e addolorato e preme la fronte contro la sua, e dice piano sei stanca, turbata e ubriaca. Ne parleremo domani, ne parleremo bene. Rebecca vorrebbe tappargli la bocca, ma alla fine glielo lascia dire per la terza volta: dovresti tornare a casa tua. Sfiata una risata esausta dalle labbra e si rimette in piedi, di inietta le mani nei capelli, si riallaccia il giacchetto. Sì, si dovrei. E' l'ultima cosa che gli dice, poi imbocca la porta. In ascensore pensa di chiamare sua madre, ma si rende conto che è troppo tardi. E' troppo tardi per chiamare chiunque.

- - -

Marshall Rankin le dice: è un peccato, mi ci stavo affezionando a te. Lo guarda andare via, pensa di doversi abituare a vedergli solo la schiena. Pensa ancora, a ogni cosa, alla rapidità con cui le ha voltato le spalle e pensa che tutto sommato non ci ha creduto mai, nemmeno per un secondo. O forse per quel secondo soltanto, ma quanto può valere? A niente, si risponde. Non vale proprio a niente.



What if I said I would break your heart?
What if I said I have problems that made me mean?
What if I knew I would just rip your mind apart
Would you let me out?
Maybe you can stop before you start
Maybe you can see that I just may be too crazy to love
If I told you solitude fits me like a glove
Would you let me out?

You ought to know where I'm coming from
How I was alone when I burned my home
And all of the pieces were torn and thrown
You should know where I'm coming from

What if I said I was just too young?
What if I said I was built on bricks of carelessness and crumbs
What if I said I'd be gone before I could come
Would you let me out?

Your sought out ways
My own, my own
But you turn me away from my low blows
Boy, you should've known.

you can't turn your back on me

Odia Jacob Livingstone da ben prima di vederlo, da ben prima di conoscerlo. E' un odio fazioso che sente nella pancia, e che diventa viscerale non appena si rende conto che gli creerà problemi, che dovrà passare sotto attento scrutinio ogni singola azione fatta dai suoi uomini. Non lo vuole fare: la convinzione con cui crede che non abbiano fatto errori è cocente, totale, quasi obnubilante. Dopo la deposizione di Hoover non dice nulla, ma quando lui esce dalla stanza lei si rilassa sulla poltrona con la sicurezza arrogante di chi non ha nulla da temere, di chi ha già deciso come andrà a finire. Quando lascia parlare Livingstone sta già pensando che le sue moine non serviranno a niente, che da quell'indagine non otterrà nulla di ciò che desidera, perché è un criminale e non se lo merita, non si merita di essere difeso dalla Legge su cui ha sputato sopra, su cui i suoi amici in maschera sputano sopra tutti i giorni: si meritano, tutti loro, di conoscere solo il braccio duro di quella Legge, non lo scudo. La punizione e non la tutela.


E' una formalità, lo pensa fin quasi alla fine. Lo pensa durante tutto l'interrogatorio di Jamie, e quando spegne la telecamera ha già determinato che tutto si chiuderà come è iniziato: con un nulla di fatto. Proteggere i suoi è il suo compito e tutelare la compattezza del gruppo e la fiducia dei suoi uomini nei suoi confronti è più importante di qualsiasi pretesa portata avanti da un avanzo di galera, nessuno si aspetterebbe nient'altro da lei. Nessuno dovrebbe. 

Poi Jamie esplode. Lo fa perché è ferito e preoccupato, e non dall'indagine - Rebecca lo sa. Parla del sacrificio di tutti loro, parla del suo sacrificio e dichiara di essere stato ferito e umiliato da chi lotta per difendere. Parla di legge fallibile e lei gli chiede di non voltare le spalle all'Agenzia. Quando lui dice che sa di essere nel giusto, di non essere nato per sbagliare, la spina dorsale di Rebecca viene percorsa lentamente da una colata gelida di terrore. Si sente disorientata, senza bussola. All'improvviso non si riconosce - una sensazione nota che, prima d'ora, non ha mai percepito con così tanta violenza. Le fa l'effetto di una botta in testa ben assestata, di un salto al centro di un mare in tempesta, senza bussola e senza salvagente.

Invece di tornare a casa, risale nel suo ufficio. Chiama il suo assistente e gli chiede di riprendere tutti i fascicoli riguardanti l'indagine. "Pensavo chiudesse la questione oggi", le fa osservare lui. "No", è la sua risposta. "Ho bisogno di più tempo"

- - -

Nel 2023, un giudice della corte penale di New Orleans dismette la causa King contro Jonah Rockwell e Frank O'Hare per insufficienza di prove su cui costruire il caso. Mentre un avvocato infervorato a cui Rebecca ha dato tutti i suoi risparmi chiede al giudice una rivalutazione in base a prove che mostrano a suo parere come Tariq King avesse sì una pistola, ma fosse stata estratta e piantata nella sua mano dopo la sua morte causata dell'esplosione di tredici proiettili d'ordinanza, Rebecca trattiene sua madre poco prima che possa arrivare a toccare i due agenti di polizia che sfilano verso l'uscita. Tyonda li insulta, e li insulta a gran voce - peggio, li maledice. Nessuno di loro due conosce l'ineluttabilità della maledizione di una mambo, ed è forse per questo che Frank O'Hare, pieno dell'arroganza degli impuniti, si volta verso di loro, le guarda e poggia la mano sulla spalla del suo collega, dichiarando ben udibilmente: "non mi aspettavo nient'altro". Rebecca King lo guarda allontanarsi inorridita, prostrata dal lutto e sconfitta da forze più grandi di lei.


- - -

Frank O'Hare non si aspettava altro. Nel 2024, Rebecca King rinuncia a dormire per permettere a un uomo che odia di potersi aspettare di meglio di ciò che ha potuto ottenere lei.

lionheart

Alle quattro del mattino Rebecca King guida una jeep nera col motore potente, le strade sono sgombre, quasi sgombre, forse sgombre. Scivola in autostrada anche se non deve andare da nessuna parte, rilassa il busto contro lo schienale del sedile e alza il volume della radio. Si sistema nella carreggiata centrale, poi inizia a premere l'acceleratore, puntando ad arrivare in fondo. Prende un respiro profondo, uno solo. Stringe le mani ustionate attorno al volante, poi rilassa le dita. Chiude gli occhi, oltre le palpebre intuisce solo il riflesso dei fari che divorano l'asfalto un pezzo alla volta. Solleva i palmi, lo fa molto lentamente, finché tra lei e il volante non c'è più contatto, nessun contatto tra lo sguardo e ciò che avviene oltre il parabrezza. Conta in punta di labbra.
Uno, c'era il battito di un cuore sotto il pavimento e il pavimento ero io. Ho aspettato che non ci fosse nessuno in casa e poi ho divelto me stessa un pezzo alla volta, e ogni angolo di buio che scoperchiavo mi terrorizzava ma sono andata avanti lo stesso perché ho imparato questo, anni fa: a non mentirmi. 
Due, Tara mi diceva che merito molto meglio di me stessa e che questa cosa deve cambiare, quando mi hanno preso nelle Forze Speciali pensavo fosse cambiata. Sono anche andata a dirglielo col petto gonfio, e lei mi ha detto complimenti anche se era un orgoglio stupido e lo è stato poi, più tardi, mi ha fatto fare cose avventate e mi fa fare cose avventate anche oggi. 
Tre, non lo so cosa mi è successo nella testa per cui mi sento qualcuno solo quando rischio tutto, quando mi faccio male, quanto mi sparano o quando salto da un grattacielo, quando non so come atterrerò. Non c'è colpa nel voler sentire qualcosa di diverso dall'assenza, dal vuoto, dal sapore della ruggine. Non c'è colpa nel decidere che la legge è preferibile al caos e alla giustizia privata anche quando è imperfetta e non c'è colpa nello sparare ai criminali: è il nostro lavoro. Sono tornata qui per questo, per un lavoro senza ombre, con linee precise dentro cui muoversi e io ho fatto questo, ho camminato dentro le linee, l'ho fatto sempre, a volte l'ho fatto troppo. Forse ho sbagliato quello. Forse avrei dovuto preoccuparmi più dei risultati, questa gente non sarà mai felice finché non ci vedrà al tracollo.  
Quattro, quando dico che sono la direttrice dell'SCF Philadelphia la gente fa un passo indietro e mi dà del lei. Non volevo questo, non l'ho chiesto, mi è stato offerto e ho detto di sì perché così avrei potuto mandare più soldi a casa e perché ho pensato che se avessi avuto l'attenzione di tutta la città addosso sarei stata più rigorosa, più attenta a non sbagliare, e lo sono stata. Questo non riguarda il mio lavoro. Niente di tutto questo riguarda il mio lavoro. Riguarda solo un ragazzino che pensa di avere dei diritti su di me dopo avermi vista tre volte, e riguarda un uomo che si è pentito di quello che ha fatto, forse, ma l'ha fatto con me, non l'ho fatto da sola. Posso gestirlo, non è grave. Non lo è, non è grave, devo solo rimettere le cose al loro posto, in riga. Niente di tutto questo è grave. 
Cinque, c'era il battito di un cuore sotto il pavimento e il cuore era il mio. Ci sono dei fari dopo i tuoi. Apri gli occhi, adesso.
Solleva le palpebre e sbatte le mani contro il volante, vi si aggrappa, sterza lateralmente evitando di travolgere un'utilitaria sulla sua strada. I polsi le tremano, ma recupera il controllo della jeep. Decelera gradualmente, mentre il cuore le batte così forte da minacciare di esploderle nel petto. L'adrenalina le ribalta le viscere e il cervello. Rebecca King sa che la sua vita domani sarà diversa da ieri, di nuovo, che sta per cambiare casa, di nuovo. Il pensiero le riempie gli occhi di lacrime. Allora ride, ad alta voce, ride a polmoni pieni e a singhiozzi incontrollati. Ride per ricordarsi come si fa, per rimpararlo. Non c'è vergogna nel superarsi e andare avanti, nello scoprirsi di nuovo sola. Rebecca fucking King ha una maratona davanti a sé.



I'm going in for the kill
Doing it for a thrill
And now I'm hoping you'll understand
And don’t let go of my hand 

extraordinary things


"E l'unica cosa che a lei veramente dà fastidio è che ci possono essere, là fuori, persone che non hanno passato la vita in un monastero d'addestramento e che riescono comunque a fare cose straordinarie."
 Rebecca King entra nelle Special Forces prima dei vent'anni. Ha già fatto il suo tempo nell'esercito e si è distinta per i suoi punteggi. La prima cosa che i Green Berets le chiedono di fare non è però combattere, ma studiare. La mettono di fronte ai libri, la costringono a imparare l'arabo in maniera dignitosa e a pensare prima di agire. Prendono un cane irrequieto e gli chiedono di suonare il pianoforte. E quello lo fa. Rebecca lo fa. Impara, assorbe, si costringe ad essere la versione migliore di se stessa. Per dimostrare che può farlo. Che il suo passato non è il suo destino.

Anni dopo Michael Green bussa alla sua porta con due militari che le piantano un paio di manette attorno ai polsi. Lei si agita come quella creatura irrequieta che è state, e mentre la portano via cerca Michael con gli occhi. Lui le dice che andrà tutto bene. Lei gli chiede: che hai fatto? Poi lo urla: cosa hai fatto, Michael? Altri due membri del suo gruppo vengono trascinati via con lei. Tenuti in celle separate, non comunicanti. Ce li lasciano ventiquattro ore prima di farli uscire. In quelle ventiquattro ore, Rebecca sente nelle viscere che c'entra Osley, in qualche modo. Ma ancora non ha rimorsi, o sensi di colpa. Si sente solo tradita. Ma si sente nel giusto. 

Si sente nel giusto perché pensa di essere esattamente questo: eccezionale. Capace di cose straordinarie, anzi: nata per cose straordinarie, e per questo autorizzata a perseguire gli obiettivi che le vengono assegnati con tutti i mezzi a disposizione. Le ci vorranno mesi per capire che violare leggi internazionali non la rende migliore. La rende sono una criminale. Se l'è ripetuta davanti a uno specchio: criminale. Ci si è chiamata mentre si toccava la faccia e si chiedeva se era questo l'aspetto di una criminale. Mentre si asciugava i capelli. Mentre si lavava i denti. Mentre indossava la divisa.

Quando l'hanno promossa a Direttrice e le hanno detto che è la più giovane incaricata di tutta la costa orientale, l'ha sentito di nuovo: quel senso di eccezionalità. La pretesa di essere destinata a cose straordinarie. E' riuscita a spaventarsi da sola. Si è chiusa in un bagno per vomitare, e quando ha avuto un weekend libero ha dormito per due giorni di fila, sperando che le coperte del letto potessero nasconderla. Tanto Lucas non c'era. Non poteva vedere.

Lucas non sa. Quando torna a casa alle quattro del mattino con l'odore di margarita addosso, non le fa domande. Prova ad abbracciarla, ma lei gli sfugge sollevando le braccia fasciate, usando quelle come scusa. Lui non prova a chiederle cosa è successo: sa già che lei non può dirglielo, e non potrà dirglielo finché non rientrerà in servizio. Questione di pochi giorni. Poche settimane, al più - Rebecca lo osserva dormire e si chiede se, senza il lavoro condiviso, potrebbero resistere. Si sistema al lato, come se al centro del letto ci fosse un solco. Due placche che il terremoto allontana. E poi Lucas non sa. Lei si consola dicendosi che non ha voluto sapere. Di Osley, certo, né di quello che ha fatto per 'Dre, di cosa conserva il letto del Mississippi. Se lo sapesse, lo perderebbe. Se sapessero, non ci sarebbe pozzo sufficientemente profondo in cui gettarsi per non farsi raggiungere dal loro disappunto. 
"Se non te lo chiedo, è perché hai ventisei anni e sei arrivata all'apice della tua carriera. E non ho alcun diritto di sapere perché fai quello che fai."
Da adesso in poi si può solo cadere. Rebecca spalanca le braccia ustionate per stare in equilibrio. Se lui non ha fatto la domanda, lei ha comunque pensato alla risposta. Perché è lì? Il fuoco le ha sciolto la pelle e con la pelle i tatuaggi. I nomi dei morti. Le scaramanzie dei vivi. Tariq e Jamal li ha tatuati 'Dre sui suoi polsi, e lei li ha tatuati a lui. Adesso che sta facendo le valigie per portare la sua famiglia il più lontano possibile da lei, Rebecca si chiede se non li dimenticherà tutti. E se loro non dimenticheranno lei.


When I was a child, I heard voices
Some would sing and some would scream
You soon find you have few choices
I learned the voices died with me

When I was a child, I'd sit for hours
Staring into open flame
Something in it had a power,
Could barely tear my eyes away

All you have is your fire.
And the place you need to reach -
Don't you ever tame your demons
But always keep 'em on a leash

When I was 16, my senses fooled me
Thought gasoline was on my clothes
I knew that something would always rule me
I knew the scent was mine alone

When I was a man I thought it ended
When I knew love's perfect ache
But my peace has always depended
On all the ashes in my wake.

I thought so


Quando esce dalla base è l'una di notte passata. Nei vari minuti che l'ascensore impiega a passare dall'ultimo piano a piano terra ripensa alla giornata: a cosa indossavano Iris e Marcus quando si sono sposati e a come deve essere avere amori così antichi, che abbattono a pugni i muri della storia e riescono a ritrovarsi decenni più tardi. Pensa alla conferenza stampa. A come avrebbe dovuto dire di meno e a quanto avesse da dire di più. Ha rifiutato di sentire i commentatori televisivi, e si è chiusa nel suo ufficio a sbrigare del lavoro arretrato per dare il tempo ai giornalisti appostati fuori dal Building di disperdersi. E l'hanno fatto. L'atrio è tranquillo. Prima di uscire si allaccia il cappotto e manda un messaggio a Philip per ricordargli di comprare e mandare a nome suo un regalo ai nuovi sposi. Così, quando esce dall'edificio, è troppo distratta per rendersi conto di chi la stia aspettando. Alza lo sguardo solo mancano pochi metri a raggiungere il marciapiede opposto.

Andre è lì. Tiene la schiena poggiata contro il muro e ha gli occhi iniettati di sangue e stanchezza, infossati in un viso che un tempo era stato furfante, ma benevolmente in salute. Ha promesso a Garrika che si sarebbe occupata di lui, ma è riuscita anche a vederlo poco. Forse l'ha evitato senza rendersene conto. Ma non ha difficoltà a riconoscere il motivo per cui è lì. Rebecca distende le braccia lungo i fianchi e sospira a fondo, già arresa ancora prima di iniziare a lottare.
- Bella sistemazione che ti hanno dato, per essere una che "lavora nella sicurezza privata", mh? E noi tutti a pensare che facessi la buttafuori in qualche locale di pallemosce. E invece. Ma' lo sa?
- Sì.
- Aahn. Certo che lo sa. E Roe? Rohandra lo sa?
- No. Roe non lo sa.
- Cioè mi stai dicendo - Andre si stacca dal muro e barcolla verso di lei, alzando una mano come a chiedere al tempo di rallentare e non appesantirgli il cervello - che forse non era il caso di dire alla donna di Jamal, che l'ha ammazzato un vigilante di merda senza che avesse fatto un cazzo, che eri diventata uno sbirro di merda che ci lavora, con i vigilantes?
- Era non registrato. Quello che... era non registrato.
- Non lo sappiamo. Non l'abbiamo mai saputo. Ma abbiamo saputo bene chi ha piantato quarantuno pezzi di piombo addosso a Tariq. E sappiamo che è successo a Batiste, lui te lo ricordi?
- Questa è un'agenzia federale. E' diversa.
- Cazzate. Sono tutti uguali. Tu lo sai. Pensavi che non lo scoprivo? Che potevi continuare a...
Andre rischia di inciampare sulla sua rabbia stando fermo sul posto. Rebecca sporge le braccia in avanti per aiutarlo, lui agita una mano per tenerla lontana.
- ... a portare a spasso i miei figli e a fargli i regali con i tuoi soldi sporchi del cazzo e a tenerci come dei cani dentro una... no, no. Torniamo a New Orleans.
- New Orleans non è sicura per te, adesso.
- New Orleans è l'unico posto sicuro. E' tutto il resto... tutto il resto è una merda. E tu.
- Chiudi la bocca. Non me lo merito. Ho fatto tutto per te. Qualsiasi cosa mi hai chiesto.
- Qualsiasi?
- Lo sai.
- Allora fai questo: molla questo posto di merda.
- Hai bisogno di aiuto.
- Torna con noi a New Orleans e rinizia da lì. Da Magnolia. O non è abbastanza?
- Hai bisogno di disintossicarti e io posso aiutarti, trovarti una clinica. Ascoltami.
- Noi non siamo abbastanza, Bequette
- Garrika è preoccupata. I tuoi figli sono preoccupati, se solo mi permettessi di...
- Come immaginavo.
Di fronte al Force Building, Rebecca non si azzarda a correre dietro a suo fratello, farne una scena. Invece, congelata, non può fare altro che guardarne la schiena incerta mentre si allontana. Lei no. Lei rimane ben inchiodata dove sta.