C'è una casa indipendente a due piani in un posto che si chiama Appleby Street, Old City, Philadelphia. Ha quattro mura solide e due insegne: una dice Walsh e l'altra dice Black/King, ma la seconda è provvisoria, scritta a pennarello, la prima invece è in ottone. Ha finestre alte e tende pesanti, le pareti candide non hanno mai visto scarabocchi di bambini o manate di adolescenti. C'è una casa a due piani al quarantatré di Appleby Street, in un quartiere pulito, ha anche un garage che un tempo era pieno di tutte le cose che Rebecca ha voluto metterci dentro (moto, macchine) e adesso, quando ci entra con una chiave che avrebbe dovuto restituire, c'è una casa a due piani che odora di polvere e di vuoto ancora prima che accenda la luce. Tasta con le dita l'intonaco finché non trova l'interruttore. La luce era così debole, quando se ne è andata? Cosa sarebbe mai potuto cambiare in due settimane?
C'è una bella casa adeguata alla media borghesia ad Appleby Street e Rebecca ci ha vissuto, per un po'. Ora che ci cammina dentro le sembra di nuovo estranea, come la prima volta in cui ci entrò. Ogni passo lo fa vicino alle pareti, cautamente, ogni cosa che incontra la tocca per ricordarne la consistenza. Con i polpastrelli traccia disegni nella polvere. Qui c'è il camino, qui il divano, qui il tavolo che non usavamo mai, qui la cucina. Qui il corrimano in legno di ciliegio, qui uno dei tre bagni, qui lo studio, qui la nostra camera da letto. Poggia la fronte sulla porta chiusa, bussa piano. Preme l'orecchio contro il legno senza sentire niente. Allora la spalanca, all'improvviso.
C'è una splendida casa ad Appleby Street, ha quattro mura solide, due insegne, una stanza da letto vuota. Rebecca accende la luce, indugia a guardare la finestra perché non vuole vedere cosa c'è sul letto, e dietro i denti prega di non trovare ciò che pensa ci troverà. Ruota il capo con uno strattone, poi lo ondeggia di lato perché è lì. Un letto matrimoniale rifatto in maniera ordinata, ma con i cuscini scoperti, e sulla federa bianca del suo una sigaretta.
C'è una casa ad Appleby Street ed è una casa come tante altre. A Rebecca viene da piangere. Dopo aver girato su se stessa come un cane in gabbia, si avvicina al letto come se fosse fatto d'aghi. Ci si siede sopra, si stende al posto di Lucas. Prende la sigaretta che le ha lasciato e se la infila tra le labbra. Con le mani che le tremano, se la accende anche, se ne riempie i polmoni mentre le sembra di affogare nelle lenzuola pulite. Ha il sapore spiacevole delle Alhamraa, e le si dissolve tra le dita proprio come le sigarette siriane.
C'era una casa ad Appleby Street e profumava di pulito e di legna riarsa, veniva riempita dopo anni in cui aveva sembrato solo costantemente svuotarsi. C'era una casa ad Appleby Street, una bella casa a due piani, e mesi dopo ci accompagnava Lucas Black dopo una lunga assenza che gliel'aveva restituito ferito, quasi morto. L'aveva aiutato a salire le scale, lentamente, e l'aveva steso sul loro letto. Lo aveva fatto spogliare e gli aveva cambiato tutte le fasciature e le bende con una pazienza per lei inusuale. Avrebbe voluto piangere per tutto il tempo, gli aveva chiesto di giurare cento volte che non sarebbe accaduto mai più, che avrebbe chiuso i conti con le Special Forces una volta per tutte. Basta esercito. Basta guerre. Lui aveva giurato. Una, due, tre, novantanove volte. Poi si era addormentato, ma prima di addormentarsi le aveva detto: se mi chiederanno di nuovo di partire, farò in modo di fartelo capire: non dovrai chiederti se sono partito, lo saprai. Ma hai giurato.
C'è una casa ad Appleby Street e ora fa così male che Rebecca si addormenta con la sigaretta ancora accesa tra le dita sperando di non risvegliarsi. Alcuni pezzi di vita, ha detto a Levy, non andrebbero venduti, solo bruciati.
* * *
I look at you all torn up
I left you waiting to bleed
I guess the truth works two ways
Maybe the truth's not what we need
[...]
But in my cold arms, you don't sleep
In my cold arms, you feel beat,
In my cold arms
You stay