I like it when you drive


"Non pensavo avresti avuto il coraggio di rifarti più viva, Rebecca". Lei sospira a fondo e prende dalle sue mani il bicchiere di cognac che le porge. E' seduta sul bordo di un divano grande, alla sua sinistra una parete scoscesa interamente di vetro da cui filtra il buio della notte. Casa di Michael Green è fatta di linee spioventi e tinte futuristiche, arredamenti essenziali, un bel pianoforte che lui sa suonare alla perfezione. "Avevi ragione tu, l'ultima volta ero ubriaca. Non sarei dovuta venire qui. Scusami". Michael versa per sé un whisky liscio e non finge di non aver visto l'anello di fidanzamento che indossa. "Suppongo tu non sia venuta qui a riprendere il discorso", con un sarcasmo asciutto, infelice. Rebecca sorride. "No. Ho un favore da chiederti". 

"Riguarda il tuo fidanzato?"
"Sì."

Michael è un tipo intelligente, ma ha smesso da anni di felicitarsi ogni volta che ha ragione. Invece soffia tra i denti un sorriso amareggiato e incredulo. Pieno dei fumi dell'alcol.

"Ora io ti risponderò di no, e tu mi risponderai che te lo devo."

Rebecca rimane in silenzio, con il bicchiere in mano e i gomiti sulle ginocchia. Con gli occhi lo segue muoversi stizzito, poi lasciarsi ricadere seduto sulla poltrona di fronte a lei. 

"Ma io non ti devo niente, Direttrice King. Non sei una mia superiore, né lo sei mai stata. Non ti ho mai fatto torti, solo il mio lavoro. E se ora non sei in una prigione militare è probabilmente grazie a me. Se ora sei viva, e ti senti una persona migliore, è perché hai avuto occasioni che senza di me non sarebbero mai state possibili. Quindi non ti devo niente."

Rebecca rimane in silenzio, gli occhi bruni gli premono nei suoi come la punta di un fioretto spinta in avanti con costanza. 

"Non ho bisogno della tua amicizia, né del tuo perdono. Di sicuro non di qualsiasi bolo nero di sentimenti e segreti che avevamo ai tempi di Israele. Sei sempre stata una disonesta. Mi hai usato per non pensare a quello che stavi facendo, e io lì, come un idiota, a darti corda. E ora vieni qui, a chiedermi aiuto. Dopo tutto questo."

Lo sguardo è pieno di buio infetto, contagioso. La sicurezza di Rebecca si infrange come il bicchiere che lui schianta contro il muro di vetro. Lei, presa di sorpresa, trasale. Se non sembra spaventata, sembra di sicuro piena di stupore. Di indecisione, una volta tanto. Rimane sul bordo del divano, mentre guarda Michael riprendere pian piano il controllo su se stesso. Un funambolo che è scivolato nel vuoto. Un inciampo, una mano sola a reggerlo alla corda su cui prova a risalire.

"Avanti", la implora poi, senza il coraggio di alzare la testa. Rebecca tentenna, poi lui ripete più forte: avanti.

"E' tornato da una missione con le Forze Speciali da poche settimane, i fascicoli sono sotto segreto. So che era stato selezionato per neutralizzare un telepate che aveva già fatto parecchie vittime, e che era in Siria. Ma nulla di più. Puoi scoprire cosa gli è successo?"

Michael scuote il capo, lo oscilla, lo ruota. Guarda nella notte. 

"Cosa ti fa pensare che gli sia successo qualcosa?"
"Lo so e basta."
"Se è sotto segreto dubito riuscirò a scoprire qualcosa."
"Ma puoi provare?"

Michael rimane in silenzio. Sospira a fondo. Rebecca sospira a sua volta. Poggia il cognac e si alza in piedi.

"Grazie."
"Deluderai anche lui. Lo sai già. Come hai deluso me."

Rebecca sorride, si sfiora il fianco dove le sembra di aver ricevuto la stoccata. Asciuga il sangue e soffia via il dolore, come le hanno insegnato. Non se la prende, come le hanno insegnato.

"Se ho smesso io di vivere nel passato, magari puoi farlo anche tu", si congeda. Disingaggia e se ne va prima di dargli un'altra occasione di bucarle la pelle. Esattamente come non le hanno insegnato.

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"Ora guida. Mi piace quando guidi."