you can't turn your back on me

Odia Jacob Livingstone da ben prima di vederlo, da ben prima di conoscerlo. E' un odio fazioso che sente nella pancia, e che diventa viscerale non appena si rende conto che gli creerà problemi, che dovrà passare sotto attento scrutinio ogni singola azione fatta dai suoi uomini. Non lo vuole fare: la convinzione con cui crede che non abbiano fatto errori è cocente, totale, quasi obnubilante. Dopo la deposizione di Hoover non dice nulla, ma quando lui esce dalla stanza lei si rilassa sulla poltrona con la sicurezza arrogante di chi non ha nulla da temere, di chi ha già deciso come andrà a finire. Quando lascia parlare Livingstone sta già pensando che le sue moine non serviranno a niente, che da quell'indagine non otterrà nulla di ciò che desidera, perché è un criminale e non se lo merita, non si merita di essere difeso dalla Legge su cui ha sputato sopra, su cui i suoi amici in maschera sputano sopra tutti i giorni: si meritano, tutti loro, di conoscere solo il braccio duro di quella Legge, non lo scudo. La punizione e non la tutela.


E' una formalità, lo pensa fin quasi alla fine. Lo pensa durante tutto l'interrogatorio di Jamie, e quando spegne la telecamera ha già determinato che tutto si chiuderà come è iniziato: con un nulla di fatto. Proteggere i suoi è il suo compito e tutelare la compattezza del gruppo e la fiducia dei suoi uomini nei suoi confronti è più importante di qualsiasi pretesa portata avanti da un avanzo di galera, nessuno si aspetterebbe nient'altro da lei. Nessuno dovrebbe. 

Poi Jamie esplode. Lo fa perché è ferito e preoccupato, e non dall'indagine - Rebecca lo sa. Parla del sacrificio di tutti loro, parla del suo sacrificio e dichiara di essere stato ferito e umiliato da chi lotta per difendere. Parla di legge fallibile e lei gli chiede di non voltare le spalle all'Agenzia. Quando lui dice che sa di essere nel giusto, di non essere nato per sbagliare, la spina dorsale di Rebecca viene percorsa lentamente da una colata gelida di terrore. Si sente disorientata, senza bussola. All'improvviso non si riconosce - una sensazione nota che, prima d'ora, non ha mai percepito con così tanta violenza. Le fa l'effetto di una botta in testa ben assestata, di un salto al centro di un mare in tempesta, senza bussola e senza salvagente.

Invece di tornare a casa, risale nel suo ufficio. Chiama il suo assistente e gli chiede di riprendere tutti i fascicoli riguardanti l'indagine. "Pensavo chiudesse la questione oggi", le fa osservare lui. "No", è la sua risposta. "Ho bisogno di più tempo"

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Nel 2023, un giudice della corte penale di New Orleans dismette la causa King contro Jonah Rockwell e Frank O'Hare per insufficienza di prove su cui costruire il caso. Mentre un avvocato infervorato a cui Rebecca ha dato tutti i suoi risparmi chiede al giudice una rivalutazione in base a prove che mostrano a suo parere come Tariq King avesse sì una pistola, ma fosse stata estratta e piantata nella sua mano dopo la sua morte causata dell'esplosione di tredici proiettili d'ordinanza, Rebecca trattiene sua madre poco prima che possa arrivare a toccare i due agenti di polizia che sfilano verso l'uscita. Tyonda li insulta, e li insulta a gran voce - peggio, li maledice. Nessuno di loro due conosce l'ineluttabilità della maledizione di una mambo, ed è forse per questo che Frank O'Hare, pieno dell'arroganza degli impuniti, si volta verso di loro, le guarda e poggia la mano sulla spalla del suo collega, dichiarando ben udibilmente: "non mi aspettavo nient'altro". Rebecca King lo guarda allontanarsi inorridita, prostrata dal lutto e sconfitta da forze più grandi di lei.


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Frank O'Hare non si aspettava altro. Nel 2024, Rebecca King rinuncia a dormire per permettere a un uomo che odia di potersi aspettare di meglio di ciò che ha potuto ottenere lei.

lionheart

Alle quattro del mattino Rebecca King guida una jeep nera col motore potente, le strade sono sgombre, quasi sgombre, forse sgombre. Scivola in autostrada anche se non deve andare da nessuna parte, rilassa il busto contro lo schienale del sedile e alza il volume della radio. Si sistema nella carreggiata centrale, poi inizia a premere l'acceleratore, puntando ad arrivare in fondo. Prende un respiro profondo, uno solo. Stringe le mani ustionate attorno al volante, poi rilassa le dita. Chiude gli occhi, oltre le palpebre intuisce solo il riflesso dei fari che divorano l'asfalto un pezzo alla volta. Solleva i palmi, lo fa molto lentamente, finché tra lei e il volante non c'è più contatto, nessun contatto tra lo sguardo e ciò che avviene oltre il parabrezza. Conta in punta di labbra.
Uno, c'era il battito di un cuore sotto il pavimento e il pavimento ero io. Ho aspettato che non ci fosse nessuno in casa e poi ho divelto me stessa un pezzo alla volta, e ogni angolo di buio che scoperchiavo mi terrorizzava ma sono andata avanti lo stesso perché ho imparato questo, anni fa: a non mentirmi. 
Due, Tara mi diceva che merito molto meglio di me stessa e che questa cosa deve cambiare, quando mi hanno preso nelle Forze Speciali pensavo fosse cambiata. Sono anche andata a dirglielo col petto gonfio, e lei mi ha detto complimenti anche se era un orgoglio stupido e lo è stato poi, più tardi, mi ha fatto fare cose avventate e mi fa fare cose avventate anche oggi. 
Tre, non lo so cosa mi è successo nella testa per cui mi sento qualcuno solo quando rischio tutto, quando mi faccio male, quanto mi sparano o quando salto da un grattacielo, quando non so come atterrerò. Non c'è colpa nel voler sentire qualcosa di diverso dall'assenza, dal vuoto, dal sapore della ruggine. Non c'è colpa nel decidere che la legge è preferibile al caos e alla giustizia privata anche quando è imperfetta e non c'è colpa nello sparare ai criminali: è il nostro lavoro. Sono tornata qui per questo, per un lavoro senza ombre, con linee precise dentro cui muoversi e io ho fatto questo, ho camminato dentro le linee, l'ho fatto sempre, a volte l'ho fatto troppo. Forse ho sbagliato quello. Forse avrei dovuto preoccuparmi più dei risultati, questa gente non sarà mai felice finché non ci vedrà al tracollo.  
Quattro, quando dico che sono la direttrice dell'SCF Philadelphia la gente fa un passo indietro e mi dà del lei. Non volevo questo, non l'ho chiesto, mi è stato offerto e ho detto di sì perché così avrei potuto mandare più soldi a casa e perché ho pensato che se avessi avuto l'attenzione di tutta la città addosso sarei stata più rigorosa, più attenta a non sbagliare, e lo sono stata. Questo non riguarda il mio lavoro. Niente di tutto questo riguarda il mio lavoro. Riguarda solo un ragazzino che pensa di avere dei diritti su di me dopo avermi vista tre volte, e riguarda un uomo che si è pentito di quello che ha fatto, forse, ma l'ha fatto con me, non l'ho fatto da sola. Posso gestirlo, non è grave. Non lo è, non è grave, devo solo rimettere le cose al loro posto, in riga. Niente di tutto questo è grave. 
Cinque, c'era il battito di un cuore sotto il pavimento e il cuore era il mio. Ci sono dei fari dopo i tuoi. Apri gli occhi, adesso.
Solleva le palpebre e sbatte le mani contro il volante, vi si aggrappa, sterza lateralmente evitando di travolgere un'utilitaria sulla sua strada. I polsi le tremano, ma recupera il controllo della jeep. Decelera gradualmente, mentre il cuore le batte così forte da minacciare di esploderle nel petto. L'adrenalina le ribalta le viscere e il cervello. Rebecca King sa che la sua vita domani sarà diversa da ieri, di nuovo, che sta per cambiare casa, di nuovo. Il pensiero le riempie gli occhi di lacrime. Allora ride, ad alta voce, ride a polmoni pieni e a singhiozzi incontrollati. Ride per ricordarsi come si fa, per rimpararlo. Non c'è vergogna nel superarsi e andare avanti, nello scoprirsi di nuovo sola. Rebecca fucking King ha una maratona davanti a sé.



I'm going in for the kill
Doing it for a thrill
And now I'm hoping you'll understand
And don’t let go of my hand 

extraordinary things


"E l'unica cosa che a lei veramente dà fastidio è che ci possono essere, là fuori, persone che non hanno passato la vita in un monastero d'addestramento e che riescono comunque a fare cose straordinarie."
 Rebecca King entra nelle Special Forces prima dei vent'anni. Ha già fatto il suo tempo nell'esercito e si è distinta per i suoi punteggi. La prima cosa che i Green Berets le chiedono di fare non è però combattere, ma studiare. La mettono di fronte ai libri, la costringono a imparare l'arabo in maniera dignitosa e a pensare prima di agire. Prendono un cane irrequieto e gli chiedono di suonare il pianoforte. E quello lo fa. Rebecca lo fa. Impara, assorbe, si costringe ad essere la versione migliore di se stessa. Per dimostrare che può farlo. Che il suo passato non è il suo destino.

Anni dopo Michael Green bussa alla sua porta con due militari che le piantano un paio di manette attorno ai polsi. Lei si agita come quella creatura irrequieta che è state, e mentre la portano via cerca Michael con gli occhi. Lui le dice che andrà tutto bene. Lei gli chiede: che hai fatto? Poi lo urla: cosa hai fatto, Michael? Altri due membri del suo gruppo vengono trascinati via con lei. Tenuti in celle separate, non comunicanti. Ce li lasciano ventiquattro ore prima di farli uscire. In quelle ventiquattro ore, Rebecca sente nelle viscere che c'entra Osley, in qualche modo. Ma ancora non ha rimorsi, o sensi di colpa. Si sente solo tradita. Ma si sente nel giusto. 

Si sente nel giusto perché pensa di essere esattamente questo: eccezionale. Capace di cose straordinarie, anzi: nata per cose straordinarie, e per questo autorizzata a perseguire gli obiettivi che le vengono assegnati con tutti i mezzi a disposizione. Le ci vorranno mesi per capire che violare leggi internazionali non la rende migliore. La rende sono una criminale. Se l'è ripetuta davanti a uno specchio: criminale. Ci si è chiamata mentre si toccava la faccia e si chiedeva se era questo l'aspetto di una criminale. Mentre si asciugava i capelli. Mentre si lavava i denti. Mentre indossava la divisa.

Quando l'hanno promossa a Direttrice e le hanno detto che è la più giovane incaricata di tutta la costa orientale, l'ha sentito di nuovo: quel senso di eccezionalità. La pretesa di essere destinata a cose straordinarie. E' riuscita a spaventarsi da sola. Si è chiusa in un bagno per vomitare, e quando ha avuto un weekend libero ha dormito per due giorni di fila, sperando che le coperte del letto potessero nasconderla. Tanto Lucas non c'era. Non poteva vedere.

Lucas non sa. Quando torna a casa alle quattro del mattino con l'odore di margarita addosso, non le fa domande. Prova ad abbracciarla, ma lei gli sfugge sollevando le braccia fasciate, usando quelle come scusa. Lui non prova a chiederle cosa è successo: sa già che lei non può dirglielo, e non potrà dirglielo finché non rientrerà in servizio. Questione di pochi giorni. Poche settimane, al più - Rebecca lo osserva dormire e si chiede se, senza il lavoro condiviso, potrebbero resistere. Si sistema al lato, come se al centro del letto ci fosse un solco. Due placche che il terremoto allontana. E poi Lucas non sa. Lei si consola dicendosi che non ha voluto sapere. Di Osley, certo, né di quello che ha fatto per 'Dre, di cosa conserva il letto del Mississippi. Se lo sapesse, lo perderebbe. Se sapessero, non ci sarebbe pozzo sufficientemente profondo in cui gettarsi per non farsi raggiungere dal loro disappunto. 
"Se non te lo chiedo, è perché hai ventisei anni e sei arrivata all'apice della tua carriera. E non ho alcun diritto di sapere perché fai quello che fai."
Da adesso in poi si può solo cadere. Rebecca spalanca le braccia ustionate per stare in equilibrio. Se lui non ha fatto la domanda, lei ha comunque pensato alla risposta. Perché è lì? Il fuoco le ha sciolto la pelle e con la pelle i tatuaggi. I nomi dei morti. Le scaramanzie dei vivi. Tariq e Jamal li ha tatuati 'Dre sui suoi polsi, e lei li ha tatuati a lui. Adesso che sta facendo le valigie per portare la sua famiglia il più lontano possibile da lei, Rebecca si chiede se non li dimenticherà tutti. E se loro non dimenticheranno lei.


When I was a child, I heard voices
Some would sing and some would scream
You soon find you have few choices
I learned the voices died with me

When I was a child, I'd sit for hours
Staring into open flame
Something in it had a power,
Could barely tear my eyes away

All you have is your fire.
And the place you need to reach -
Don't you ever tame your demons
But always keep 'em on a leash

When I was 16, my senses fooled me
Thought gasoline was on my clothes
I knew that something would always rule me
I knew the scent was mine alone

When I was a man I thought it ended
When I knew love's perfect ache
But my peace has always depended
On all the ashes in my wake.

I thought so


Quando esce dalla base è l'una di notte passata. Nei vari minuti che l'ascensore impiega a passare dall'ultimo piano a piano terra ripensa alla giornata: a cosa indossavano Iris e Marcus quando si sono sposati e a come deve essere avere amori così antichi, che abbattono a pugni i muri della storia e riescono a ritrovarsi decenni più tardi. Pensa alla conferenza stampa. A come avrebbe dovuto dire di meno e a quanto avesse da dire di più. Ha rifiutato di sentire i commentatori televisivi, e si è chiusa nel suo ufficio a sbrigare del lavoro arretrato per dare il tempo ai giornalisti appostati fuori dal Building di disperdersi. E l'hanno fatto. L'atrio è tranquillo. Prima di uscire si allaccia il cappotto e manda un messaggio a Philip per ricordargli di comprare e mandare a nome suo un regalo ai nuovi sposi. Così, quando esce dall'edificio, è troppo distratta per rendersi conto di chi la stia aspettando. Alza lo sguardo solo mancano pochi metri a raggiungere il marciapiede opposto.

Andre è lì. Tiene la schiena poggiata contro il muro e ha gli occhi iniettati di sangue e stanchezza, infossati in un viso che un tempo era stato furfante, ma benevolmente in salute. Ha promesso a Garrika che si sarebbe occupata di lui, ma è riuscita anche a vederlo poco. Forse l'ha evitato senza rendersene conto. Ma non ha difficoltà a riconoscere il motivo per cui è lì. Rebecca distende le braccia lungo i fianchi e sospira a fondo, già arresa ancora prima di iniziare a lottare.
- Bella sistemazione che ti hanno dato, per essere una che "lavora nella sicurezza privata", mh? E noi tutti a pensare che facessi la buttafuori in qualche locale di pallemosce. E invece. Ma' lo sa?
- Sì.
- Aahn. Certo che lo sa. E Roe? Rohandra lo sa?
- No. Roe non lo sa.
- Cioè mi stai dicendo - Andre si stacca dal muro e barcolla verso di lei, alzando una mano come a chiedere al tempo di rallentare e non appesantirgli il cervello - che forse non era il caso di dire alla donna di Jamal, che l'ha ammazzato un vigilante di merda senza che avesse fatto un cazzo, che eri diventata uno sbirro di merda che ci lavora, con i vigilantes?
- Era non registrato. Quello che... era non registrato.
- Non lo sappiamo. Non l'abbiamo mai saputo. Ma abbiamo saputo bene chi ha piantato quarantuno pezzi di piombo addosso a Tariq. E sappiamo che è successo a Batiste, lui te lo ricordi?
- Questa è un'agenzia federale. E' diversa.
- Cazzate. Sono tutti uguali. Tu lo sai. Pensavi che non lo scoprivo? Che potevi continuare a...
Andre rischia di inciampare sulla sua rabbia stando fermo sul posto. Rebecca sporge le braccia in avanti per aiutarlo, lui agita una mano per tenerla lontana.
- ... a portare a spasso i miei figli e a fargli i regali con i tuoi soldi sporchi del cazzo e a tenerci come dei cani dentro una... no, no. Torniamo a New Orleans.
- New Orleans non è sicura per te, adesso.
- New Orleans è l'unico posto sicuro. E' tutto il resto... tutto il resto è una merda. E tu.
- Chiudi la bocca. Non me lo merito. Ho fatto tutto per te. Qualsiasi cosa mi hai chiesto.
- Qualsiasi?
- Lo sai.
- Allora fai questo: molla questo posto di merda.
- Hai bisogno di aiuto.
- Torna con noi a New Orleans e rinizia da lì. Da Magnolia. O non è abbastanza?
- Hai bisogno di disintossicarti e io posso aiutarti, trovarti una clinica. Ascoltami.
- Noi non siamo abbastanza, Bequette
- Garrika è preoccupata. I tuoi figli sono preoccupati, se solo mi permettessi di...
- Come immaginavo.
Di fronte al Force Building, Rebecca non si azzarda a correre dietro a suo fratello, farne una scena. Invece, congelata, non può fare altro che guardarne la schiena incerta mentre si allontana. Lei no. Lei rimane ben inchiodata dove sta.