home #1 - did you hear the news?


Rohandra Mack - ma lei la chiama Roe - era la donna del fratello che ha tatuato sul polso sinistro, ma è stata Rebecca a presentarli per la prima volta, un decennio prima. E' una ragazza con ricci mori e disordinati, che la aspetta al Louis Armstrong New Orleans International Airport a braccia spalancate. Rebecca le salta in braccio e la insulta, Roe la piglia per le cosce e barcolla all'indietro, rischiando di cadere. Sei così fottutamente figa, le dice Roe, e Rebecca le  bacia la fronte prima di tornare con i piedi per terra (letteralmente). La sua quasi-sorella allunga lo sguardo alle sue spalle. Scruta Lucas da capo a piedi, storcendo un sorriso incredulo e pieno di divertitissimo sarcasmo. "Perché hai detto a tua madre che era nero? - le chiede, ridendo - pensi di dipingergli la faccia prima di arrivare?"

La macchina di Roe è vecchia, ma funzionante. A Lucas è spettato il posto davanti, mentre Rebecca fa le capriole sui sedili posteriori per cambiarsi d'abito. Dismette i jeans, la felpa, i capelli disordinati. Si pettina e si mette lacci e forcine tra i ricci stretti, tornati alla loro consistenza naturale, e poi tira fuori dalla valigia gli abiti stirati che ha portato per l'occasione. Intanto, Roe s'informa. Chiede a Lucas di quello che fa, di come si sono conosciuti. Lui ogni tanto lancia un'occhiata nello specchietto retrovisore, intercettando uno scorcio di pelle tatuata e un veleggiare di gonne ampie e maglioni scuri e accollati. Ripete quello che si sono promessi di raccontare a tutti. Lavorano insieme. Nel settore della sicurezza privata. Prima che possa indagare ulteriormente, Rebecca riacchiappa la conversazione.
- L'officina va bene?
- Cammina. Le macchine continuano a rompersi e io continuo a ripararle. Da quando il vecchio ha fatto quel casino alla mercedes di Augustin ho preso in mano io le cose.
- I gemelli stanno bene?
- Stanno bene, stanno bene... mi fanno dannare, cristosanto, non hanno nemmeno sei anni ma la testa dura del padre l'hanno ripresa entrambi.
- E gli altri ragazzini?
- Quella di Tariq e Tanika è piccola così...
- Ho visto solo le foto che mi hai mandato tu.
- Un sorcio con dei polmoni...
- Clement e Mathilde?
- Bene. Meglio, ora che il padre è uscito.
Rebecca si sta infilando le scarpe basse e discrete, ma drizza le orecchie come una volpe che ha appena fiutato un coccodrillo.
- No, esce a marzo.
- Usciva a marzo, ma l'hanno fatto uscire due settimane fa.
- Perché?
- Checcazzo ne so? 
Roe indaga l'espressione della quasi-sorella nello specchietto retrovisore. "Conoscerò tuo fratello?", chiede Lucas. 

Rebecca si strofina una mano sul viso, riemergendone con un sorriso storto e teso. "Sembra proprio di sì".

* * *

Ad aprire la porta è proprio Andre. Alto due metri, con spalle larghe e la tendenza ad ingobbirsi di tutte le persone costrette a guardare il mondo dall'alto verso il basso. Mette in fila trentadue denti candidi in un sorriso felice e furfante. Spalanca le braccia per stritolare sua sorella piccola, e mentre lo fa incocca lo sguardo su Lucas.
- I thought you said he was Black, Reba.
- I said his name was Black - geme Rebecca.
- Someone will have to tell granma -, ride lui.

torches in the night sky


Rebecca King si veste negli spogliatoi del Building. Indossa il giubbotto antiproiettile e lo prende a pugni per sentire i colpi rimbombare nella sua cassa toracica. Inspira a fondo, con la prepotenza di chi l'ossigeno deve conquistarselo prima di respirarlo. A mille e duecentoventi miglia da dove sua madre le ha detto che sarà sempre al sicuro, spera che il fuoco non le bruci i simboli di protezione che ha tatuato sulla pelle da anni, e che le hanno impedito di tirare le cuoia fino ad oggi. Lo crede davvero - crede che le benedizioni di sua madre funzionino, e spera che funzioneranno ancora per un po', visto che non vengono rinnovate ormai da almeno un anno. L'ultima volta che l'ha vista le ha detto che rifiuta tutte le sue storie - i loa, i santi e il voodoo -, ma la notte continua a lasciare offerte sotto lo zerbino dell'ingresso di casa sua. 

Aspetta che tutti siano usciti dallo spogliatoio, resta indietro. Seduta sulla panca, punta i gomiti sulle ginocchia e unisce le mani, stringendola l'una contro l'altra. Si passa le nocche sulle labbra, poi china il capo e le preme contro la fronte abbassata. Mormora una preghiera per se stessa e per Lucas, usando le parole che ha imparato a New Orleans, una vita prima. Non sa se funzioneranno anche a Philadelphia e si vergogna di pensare che abbiano mai avuto un valore anche in Louisiana, ma le dice lo stesso - ha paura ed è stanca di perdere persone. A ben vedere, è esausta.

nothing will ever grow on this ground


Lucas se la spinge dietro di sé. Rebecca non capisce subito cosa stia succedendo: si sono rincorsi lungo tre piani di scale, si sono trascinati addosso mani e risate e dieci passi dalla porta lui l'ha strattonata per ripararla. Lei si sporge dall'altezza del suo gomito e capisce perché si è allarmato: un uomo con uno sgualcito completo nero è seduto per terra, con la schiena contro la sua porta. Quando lo chiama per nome, incredula ("Michael?") Lucas si calma e si cruccia. 

Michael ha più di trent'anni e meno di quaranta e indossa un occhio livido e un labbro spaccato con una certa eleganza. Solo il vestito che porta deve costare come un mese dell'affitto di quel buco nel Southside sulla cui porta ha aspettato. Ha un velo di barba e i denti dritti e candidi di chi è cresciuto con un'assicurazione sanitaria costosa, al polso sinistro un Omega da quattromila dollari (Rebecca lo sa perché una volta glielo ha chiesto) e quando si alza lo fa lentamente, come se dovesse stare attento a qualcosa che gli fa male tra il costato e i polmoni. Il primo istinto di lei è andargli incontro e sorreggerlo, ma Michael guarda Lucas e lei si ferma a metà strada. 
- Stai bene?
- Possiamo parlare da soli?
Lucas sembra farsi un po' più alto, con spalle un po' più larghe. Rebecca ha le scuse annidate all'angolo degli occhi, e gli promette che lo chiamerà domani. Lo sente scendere gli scalini rapidamente. Poi si caccia le chiavi dalle tasche e apre la porta di casa sua.

- - -

- Non sapevo fossi tornato negli Stati Uniti.
- Lo conosco?
- Forse. Era nelle Forze Speciali anche lui. 
- Secondo te ha riconosciuto me?
- Non lo so. Ti sei tolto il casco con molte persone, in Siria?
Michael è tutto tranne che stupido. Qualcuno direbbe che è una delle persone più intelligenti del paese. E' stato il più giovane afroamericano iscritto alla Mensa, ha conseguito una laurea e un dottorato in ingegneria spaziale e i brevetti alcuni dei suoi progetti sono stati venduti per milioni di dollari ad alcune delle maggiori multinazionali del settore. 

E' stato anche parte della squadra corazzata affiancata alle Special Forces in Medioriente, quelli che nelle camerate venivano chiamati le tartarughe: un intero gruppo di assaltatori addestrati all'uso delle Power Shell più all'avanguardia dell'intero esercito americano, equiparati negli scenari di guerra a ciò che i Guardiani sono all'interno dei confini nazionali. Lui e Rebecca si sono conosciuti così.
- Mi dispiace non averti sentito prima. Sono tornato da un po'.
- Non importa.
- A mia discolpa, non pensavo che di tutto il paese, ti avrei trovato proprio a Philadelphia.
- Neanche io.
- Io sono di Philadelphia.
- Credevo saresti rimasto oltreoceano per un altro bel pezzo, tutto considerato. O che non avresti avuto la faccia di venire a cercare me.
Rebecca si siede sul divano vicino a lui e gli poggia una busta di piselli surgelati sulla faccia, in corrispondenza dell'occhio annerito. Lui piega le labbra in una smorfia addolorata, tende tutti i muscoli ma poi si rilassa lentamente, come una bestia selvatica che ha bisogno di essere tenuta ferma a pieni muscoli prima che si calmi. Lei gli lascia la busta sulla faccia. Rimangono in silenzio per un po'.
- Parli come se fosse stata colpa mia.
- Mi sono addormentata e risvegliata in un mondo in cui non mi sei costato la carriera nelle Forze Speciali?
- Tu ti sei giocata la carriera nelle Forze Speciali, Rebecca.
- Magari avresti potuto essere un po' più comprensivo, tutto considerato.
- Bastavi tu ad essere indulgente con te stessa. 
- Non sai di che parli.
- So che quando è uscito fuori tutto--
- Quando tu hai fatto uscire fuori tutto.
- ... Quando è uscito fuori tutto avevi un sacco di scuse per te stessa.
- Non tutti nascono con la camicia, Michael. Gli errori capitano se non hai soldi a palate per aggiustarli e un Q.I. sovraumano.
- Non è stato un errore.
La voce dell'uomo si abbassa di un tono, sembra arrivargli direttamente dal centro del torace e rimbombare tra cuore e costole prima ancora di arrivare alle labbra.
- E' stata una condotta criminale e dolosa che è andata avanti per due anni prima che accadesse l'irreparabile, e tu hai concorso agli eventi, Rebecca. Mi sono esposto per te. Saresti potuta finire di fronte a una corte marziale piuttosto che congedata senza neanche un demerito nel curriculum. 
- Cosa vuoi, Michael?
Rebecca sorride, negli occhi scuri si annida un'amarezza antica. Lui sospira a fondo. Lascia i piselli surgelati sul cuscino del divano.
- Ti ricordi quando... progettavamo di lasciare l'esercito, venire qua a Philadelphia e registrarci come vigilantes... insieme?
- Le cose sono cambiate, non credi?
- Nondimeno... c'è qualcosa che vorrei condividere con te. Se mi permetti di mostrartela. Domani mattina?
- Domani mattina lavoro.
- Puoi prenderti qualche ora libera.
- Perché vorresti lavorare con me, comunque? Dopo Osley...
- Perché mi piace pensare che tu valga di più della somma delle tue colpe. 
Rebecca sta per rispondere, ma poi gli occhi le precipitano verso il basso. Michael sospira a fondo e, con qualche difficoltà, si alza in piedi. Zoppica pesantemente fino all'uscita, senza controllare il suo orologio da quattromila dollari. Si ferma sulla porta poco dopo averla aperta. Si volta, alleggerisce il tono di voce.
- E' tanto meglio di me?
Rebecca tira su col naso e si trascina la manica sugli occhi, e solo allora è pronta ad alzare la testa e metterlo a fuoco. Gli rivolge un sorriso tutto diverso, pieno di veleno dolcissimo.
- Non mi ha ancora rovinato la vita, quindi... direi di sì.
Michael ride molto piano, annuisce. Poi si trascina oltre l'uscio, chiudendosi gentilmente la porta alle spalle.

shout out forgiveness at the top of your lungs


Puoi girare in tondo quanto ti pare, Reba, lo vedo anche io che non stai andando da nessuna parte. Ha la voce di Jamal piantata in testa, la voce di Jamal che non credeva in nessun riscatto ma un riscatto l'ha cercato lo stesso, di nascosto. Un passo a destra e uno a sinistra, Roe le disse così al funerale di Tariq, come se avesse dimenticato come funziona un funerale a New Orleans: tutti in fila dietro la front line - un passo a destra e uno a sinistra, ma sempre in avanti. Ha tenuto buono il consiglio ed è andata avanti, nonostante sua madre le abbia detto che i King fuori da New Orleans sono destinati al disastro, è andata avanti (perché indietro non poteva andarci) ed è andata a nord, e ora nelle mura di Philadelphia gira in macchina la Old City, da sola, contro ogni protocollo dell'Agenzia nella ridicola speranza di trovare gli assassini, combatterli, vincerli, arrestarli. Redenzione, Anna Berninger ha detto così - e non sapeva che lei per prima aveva pronunciato le stesse sillabe, nello stesso ordine, solo poche settimane prima a Lucas Black, sui gradini umidi di casa Welsh. Redenzione è ciò che è venuta a cercare a Philly, ma sono passati quasi due mesi e non ha ancora salvato la vita a nessuno, fatto giustizia per niente.

Redenzione. Continua a cercarla nelle braccia di Lucas scoperte una spanna di carne alla volta, e teme il momento in cui non ci sarà più niente da scoprire. Pelle bollente diventa giaciglio tiepido, e nel tepore si conosce già irrequieta, terrorizzata da tutte le cose che potrebbero andare storte, da tutti i segreti che le scalciano gli stinchi e la fanno cadere in ginocchio non appena lascia loro briciole di tempo. Non vuoi conforto perché sai di non meritartelo le ha detto Michael, e Dio se aveva ragione. Nelle Forze Speciali era più facile, c'erano ordini non questionabili, direttive precise, scadenze secche, letti ordinati e rigore di vita. I soldati vengono valutati sull'attinenza agli ordini, e lei è stata capace di essere ben più che zelante nell'eseguirli. Adesso è diverso. Adesso le persone con cui lavora fanno quel che fanno perché guidate da un fuoco sacro, un senso della giustizia arpionato al cuore - Bennet, Schreber e anche Lucas -, e lei è terrorizzata dall'essere scoperta per la persona che è stata, che ancora è: una ragazzina che non sa niente, non sicura di niente, che a dodici anni rubava e a quattordici è stata beccata a spacciare per pezzi più grossi di lei. La figlia di una voodoo queen non registrata, con due fratelli morti e uno in prigione, con la coscienza piena di macchie e un'integrità morale che deve ricompattare ogni due giorni, perché altrimenti sa che franerebbe. La poveraccia superstiziosa che mette offerte per i Loa sotto il tappeto dell'ingresso, sia mai andassero a bussare. La codarda che quando sente Martin Johnson riempire di botte Malia Johnson, nell'appartamento accanto, alza il volume della tv e fa finta di niente.

Ma se solo riuscisse a prendere questi due... solo questi due. Setaccia la Old City come se la sua vita dipendesse dal risultato della caccia. Le serve una vittoria, una soltanto. E' stanca di visitare scene di crimini già avvenuti: vuole sventare un crimine, catturare un criminale, salvare una vita. Vuole riscattarsi, vuole la stella sul petto che dimostri a tutti come anche lei sappia essere una brava persona, alla fine dei conti. Vuole poterlo dire a sua madre, vuole poterlo dire a Michael. Vuole poter seppellire Camp Osley una volta per tutte, senza rimanere chiusa nelle sue gabbie dieci e cento volte, ogni volta che chiude gli occhi o rimane da sola.

Diventa tardi troppo presto. Il suo turno è ormai finito da almeno due ore, ma non è ancora rientrata al Building. Ormai in riserva, accosta la macchina su Appleby Street e guarda le tende tirate di casa Welsh. Spegne il motore e sprofonda nel sedile, esausta, senza avere coraggio di uscire e andare a suonare. Rimane a riflettere su cosa fare finché non scivola in un sonno pesante, senza sogni. Un'ora dopo Lucas la sveglierà bussando al finestrino. Che coincidenza, mugugnerà tirandosi sulle labbra il solito sorriso da canaglia, come una vagabonda che batte i palmi sul portone di una chiesa per implorare asilo.