nothing will ever grow on this ground


Lucas se la spinge dietro di sé. Rebecca non capisce subito cosa stia succedendo: si sono rincorsi lungo tre piani di scale, si sono trascinati addosso mani e risate e dieci passi dalla porta lui l'ha strattonata per ripararla. Lei si sporge dall'altezza del suo gomito e capisce perché si è allarmato: un uomo con uno sgualcito completo nero è seduto per terra, con la schiena contro la sua porta. Quando lo chiama per nome, incredula ("Michael?") Lucas si calma e si cruccia. 

Michael ha più di trent'anni e meno di quaranta e indossa un occhio livido e un labbro spaccato con una certa eleganza. Solo il vestito che porta deve costare come un mese dell'affitto di quel buco nel Southside sulla cui porta ha aspettato. Ha un velo di barba e i denti dritti e candidi di chi è cresciuto con un'assicurazione sanitaria costosa, al polso sinistro un Omega da quattromila dollari (Rebecca lo sa perché una volta glielo ha chiesto) e quando si alza lo fa lentamente, come se dovesse stare attento a qualcosa che gli fa male tra il costato e i polmoni. Il primo istinto di lei è andargli incontro e sorreggerlo, ma Michael guarda Lucas e lei si ferma a metà strada. 
- Stai bene?
- Possiamo parlare da soli?
Lucas sembra farsi un po' più alto, con spalle un po' più larghe. Rebecca ha le scuse annidate all'angolo degli occhi, e gli promette che lo chiamerà domani. Lo sente scendere gli scalini rapidamente. Poi si caccia le chiavi dalle tasche e apre la porta di casa sua.

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- Non sapevo fossi tornato negli Stati Uniti.
- Lo conosco?
- Forse. Era nelle Forze Speciali anche lui. 
- Secondo te ha riconosciuto me?
- Non lo so. Ti sei tolto il casco con molte persone, in Siria?
Michael è tutto tranne che stupido. Qualcuno direbbe che è una delle persone più intelligenti del paese. E' stato il più giovane afroamericano iscritto alla Mensa, ha conseguito una laurea e un dottorato in ingegneria spaziale e i brevetti alcuni dei suoi progetti sono stati venduti per milioni di dollari ad alcune delle maggiori multinazionali del settore. 

E' stato anche parte della squadra corazzata affiancata alle Special Forces in Medioriente, quelli che nelle camerate venivano chiamati le tartarughe: un intero gruppo di assaltatori addestrati all'uso delle Power Shell più all'avanguardia dell'intero esercito americano, equiparati negli scenari di guerra a ciò che i Guardiani sono all'interno dei confini nazionali. Lui e Rebecca si sono conosciuti così.
- Mi dispiace non averti sentito prima. Sono tornato da un po'.
- Non importa.
- A mia discolpa, non pensavo che di tutto il paese, ti avrei trovato proprio a Philadelphia.
- Neanche io.
- Io sono di Philadelphia.
- Credevo saresti rimasto oltreoceano per un altro bel pezzo, tutto considerato. O che non avresti avuto la faccia di venire a cercare me.
Rebecca si siede sul divano vicino a lui e gli poggia una busta di piselli surgelati sulla faccia, in corrispondenza dell'occhio annerito. Lui piega le labbra in una smorfia addolorata, tende tutti i muscoli ma poi si rilassa lentamente, come una bestia selvatica che ha bisogno di essere tenuta ferma a pieni muscoli prima che si calmi. Lei gli lascia la busta sulla faccia. Rimangono in silenzio per un po'.
- Parli come se fosse stata colpa mia.
- Mi sono addormentata e risvegliata in un mondo in cui non mi sei costato la carriera nelle Forze Speciali?
- Tu ti sei giocata la carriera nelle Forze Speciali, Rebecca.
- Magari avresti potuto essere un po' più comprensivo, tutto considerato.
- Bastavi tu ad essere indulgente con te stessa. 
- Non sai di che parli.
- So che quando è uscito fuori tutto--
- Quando tu hai fatto uscire fuori tutto.
- ... Quando è uscito fuori tutto avevi un sacco di scuse per te stessa.
- Non tutti nascono con la camicia, Michael. Gli errori capitano se non hai soldi a palate per aggiustarli e un Q.I. sovraumano.
- Non è stato un errore.
La voce dell'uomo si abbassa di un tono, sembra arrivargli direttamente dal centro del torace e rimbombare tra cuore e costole prima ancora di arrivare alle labbra.
- E' stata una condotta criminale e dolosa che è andata avanti per due anni prima che accadesse l'irreparabile, e tu hai concorso agli eventi, Rebecca. Mi sono esposto per te. Saresti potuta finire di fronte a una corte marziale piuttosto che congedata senza neanche un demerito nel curriculum. 
- Cosa vuoi, Michael?
Rebecca sorride, negli occhi scuri si annida un'amarezza antica. Lui sospira a fondo. Lascia i piselli surgelati sul cuscino del divano.
- Ti ricordi quando... progettavamo di lasciare l'esercito, venire qua a Philadelphia e registrarci come vigilantes... insieme?
- Le cose sono cambiate, non credi?
- Nondimeno... c'è qualcosa che vorrei condividere con te. Se mi permetti di mostrartela. Domani mattina?
- Domani mattina lavoro.
- Puoi prenderti qualche ora libera.
- Perché vorresti lavorare con me, comunque? Dopo Osley...
- Perché mi piace pensare che tu valga di più della somma delle tue colpe. 
Rebecca sta per rispondere, ma poi gli occhi le precipitano verso il basso. Michael sospira a fondo e, con qualche difficoltà, si alza in piedi. Zoppica pesantemente fino all'uscita, senza controllare il suo orologio da quattromila dollari. Si ferma sulla porta poco dopo averla aperta. Si volta, alleggerisce il tono di voce.
- E' tanto meglio di me?
Rebecca tira su col naso e si trascina la manica sugli occhi, e solo allora è pronta ad alzare la testa e metterlo a fuoco. Gli rivolge un sorriso tutto diverso, pieno di veleno dolcissimo.
- Non mi ha ancora rovinato la vita, quindi... direi di sì.
Michael ride molto piano, annuisce. Poi si trascina oltre l'uscio, chiudendosi gentilmente la porta alle spalle.