as long as you stay


Maximilian Lee sostiene che sono le nostre azioni a definirci, e Rebecca King sa di essere pericolosa perché nella vita non ha fatto che prendere decisioni rischiose. Il viaggio in elicottero sembra non finire mai e lo fa tutto in apnea, per essere sicura di non disturbare il respiro di Lucas con il proprio. Ogni tanto i macchinari suonano in maniera inusuale e ogni allarme che ha in corpo inizia a farle contorcere le viscere. Le viene da vomitare ogni volta che la possibilità di perderlo tra Philadelphia e New Orleans si fa più consistente, finché nello stomaco non le rimangono solo la bile e un terrore cieco. Ha lasciato ogni cosa, ma l'ha fatto abbastanza rapidamente? Ha perso tempo? Avrebbe dovuto ascoltare Spencer Queen? Ha trovato fiducia liquida nell'ultimo sguardo che Lucas è riuscito a offrirle prima di piombare nel sonno chimico, ma se la meritava? Sta per ucciderlo?

Connor McGallaghan salverà gli Stati Uniti d'America dalla catastrofe nucleare e mesi prima le chiese, in un locale fumoso con la musica troppo alta: da quanto tempo esiste questo Lucas? Lucas esiste da prima di lei ed esisterà dopo di lei, l'ha sempre pensato: è bravo a evitare il pericolo almeno quanto lei è capace di incassarlo, è bravo a ragionare sulle cose esattamente quanto lei è brava a placcarle di peso, è bravo a prendere la mira almeno quanto lei è brava a sparare due volte. Morire per primo è una vigliaccheria che non gli si addice.

Il cuore smette di battergli per la terza volta in ventiquattro ore mentre l'elicottero sta calando sul tetto dell'ospedale. Una pletora di barellieri, medici e infermieri lo spingono correndo in rianimazione, mentre lei li segue col cuore in gola e inciampa su ogni parola che vorrebbe dire, cerca di scavalcarli, di rimanergli vicino, e finge di non sentirci quando un infermiere la spintona lontana e, pieno di frustrazione, chiede chi ha avuto la fottuta idea di spostarlo? Prova a entrare nella sala di rianimazione con lui, ci vogliono due persone per trattenerla fuori mentre lei si agita, si solleva, urla minacce e si sporge per vedere il suo petto sussultare delle cariche elettriche che gli bruciano la pelle nel tentativo di fargli ripartire il cuore. Confusa, non si rende quasi conto che la sua famiglia è lì. Che l'unico fratello che le rimane sta chiedendo agli infermieri di farli passare e che sua nonna le poggia un palmo tiepido sulla nuca, chiedendole basta. Basta, Rebecca King. Ne dichiarano il decesso alle sedici e diciotto in punto. 

Non ho mai voluto una donna quanto voglio te. E non ho mai amato una donna, quanto amo te.

I medici se ne vanno, seguiti da infermieri convinti a lasciare la famiglia da sola dai singhiozzi increduli di una donna che poco tempo fa era tra i capi della più importante agenzia federale del Paese. Si lascia scivolare all'indietro mentre geme come una bestia da caccia appena catturata in una tagliola, e se non cade a terra è solo perché Andre le preme il proprio petto contro la schiena e le circonda le spalle con le braccia. Le lacrime non le fanno vedere niente, ma va bene così: non vuole vedere. Non vuole vedere sua madre che si avvicina alla barella con la pacifica calma che nulla è mai riuscito a sottrarle, neanche la morte dei suoi stessi figli. Non vuole vederla fare un cenno ad Andre, e non vuole vedere Lucas - soprattutto Lucas -. Per cui quando Andre la trascina verso di lui, piange di lasciarla andare. Dice che non vuole, dice che non voleva, e mentre un terremoto le scuote il petto impedendole di respirare dice sono arrivata tardi, ma', volevo arrivare prima, sono arrivata tardi, perdonami, perdonami, perdonami. Si agita e si batte anche quando Andre le prende i polsi e li consegna a Tyonda King. 

Lei glieli bacia, entrambi. Su uno c'è scritto "Jamal", sull'altro "Tariq". Lutti in fila, lutti simmetrici. Le conduce i palmi sul petto nudo di quello che è stato suo marito fino a un attimo fa, e glieli tiene fermi mentre Rebecca scivola in ginocchio vicino alla barella, con il capo abbassato e neanche lo spazio per un respiro nei polmoni. Andre la costringe a rialzarsi, mentre Justine, sua nonna, le passa le dita sulle tempie sudate e tra i capelli intrecciati. Sua madre sospira a fondo. Aspetta con la pazienza dei santi, Attende che la rabbia lasci il posto a una disperazione sedimentata. Che la polvere si adagi sul terreno. Rimane dritta come una quercia, mentre sua figlia rimane piegata su se stessa, spezzata da un vento più forte di lei. 

"Rebecca", la chiama piano, con una dolcezza tiepida. "My child, my love. Sei al sicuro. Sarete al sicuro."

Alle sedici e ventidue un'ombra di colore si affaccia su zigomi immobili. Una promessa.


water


«Se muoio, saranno fatti miei.»

- - -

Anni prima, Tariq le diceva qualcosa di non troppo diverso. Non a voce, ma con l'arroganza dei delinquenti da due soldi del loro quartiere. Col petto in fuori e l'aria di un pitbull sempre pronto ad attaccar briga. In questo, il ragazzino è leggermente diverso: non risponde. Quando Rebecca prendeva a schiaffi e spintoni suo fratello, suo fratello prendeva a schiaffi e spintoni lei. Andre li divideva e Jamal li guardava da lontano, scuotendo la testa (già allora si sentiva migliore di tutti loro, destinato a cose più grandi che non fossero rimanere incastrato a Magnolia per il resto della sua vita).

- - -

« Wake - the fuckin' - up. Su questa strada non sei niente, sei una vittima del sistema, un topolino rimasto schiacciato dagli ingranaggi. Sei nella catena di montaggio. Questa è la catena di montaggio. Non la stai mettendo in culo ai potenti, ragazzino, stai chinando la testa e facendo il gioco di chi ti ha messo nelle condizioni di fallire. E sarai l'ennesimo poveraccio che non avrà avuto la forza di tirarsene fuori.»
- - -

Non è che solo perché a te è andata bene, le aveva detto Tariq, vuol dire che può andare bene a tutti... guarda come è andata a Jamal. Io qua ci vivo, non come te che sei scappata mollando tutti. Poi chi resterà con ma' e la famiglia, ci hai pensato? 'Dre e la merda che si cala? 'Dre che non si sa quando esce? Che cazzo di ipocrita: tu ti sei arricchita e vuoi impedirmi di fare i soldi buoni nell'unico modo che conosco. Well, try 'n stop me: non puoi. Perché non sei più qui. Non ci sei da un sacco di tempo.

- - -

Lucas le ha detto che lui avrebbe sparato alle gambe. Non ha voluto spiegargli di come ogni cosa alla periferia dello sguardo e della mente le si offuschi non appena prende la mira. Le hanno insegnato a causare il massimo danno nel minor tempo possibile, e quella memoria ce l'ha ancora nei muscoli, anche se prova a cancellarsela dalla mente. Gli ha detto di volere dei figli, però. Se sopravviveranno. Se un suo ennesimo errore non causerà la distruzione di metà paese. Tutte le notte sale sul tetto del building, si siede sul bordo e pensa tutto questo potrebbe non esserci domani. E lo ripete a bassa voce, per sentire come suona. Tutto questo potrebbe non esserci domani. Ma a differenza di tutte le altre notti, questa volta si sporge appena di più. Non serra i muscoli, e si lascia scivolare in avanti. Nel vuoto.

- - -

A otto anni si nascose dietro la porta socchiusa del soggiorno di casa loro nonostante loro nonna Justine avesse spedito tutti nelle loro stanze. Era abbastanza grande da sapere che Batiste fosse disperso dopo l'uragano, ma non abbastanza da sapere cosa volesse dire. Pensava soltanto che fosse perso, che non riuscisse a ritrovare la strada. Immaginava il padre biologico di Tariq - che li aveva accolti tutti quanti come fossero figli suoi - vagare confuso nella New Orleans distrutta, senza riuscire a ritrovare la strada di casa, orfano di tutti i punti di riferimento lavati via dalla corrente. Tyonda piangeva sul bordo del divano, dicendo che l'avevano ritrovato nelle celle allagate della stazione di polizia, con i polsi stretti dietro la schiena, i polmoni pieni d'acqua e sul viso gonfio di morte punti più morbidi, più cedevoli, tumefazioni che nessun coroner avrebbe analizzato. Tyonda singhiozzava che era colpa sua e Justine le asciugava le lacrime, ricordandole che non potevano proteggere tutti quanti. Arriva il giorno, disse Justine, in cui devi scegliere.

- - -

A differenza di un proiettile, più si avvicina a destinazione, più prende velocità. Il viso di Sheridan Hoover si confonde già nella sua memoria: dimentica presto le persone che lascia voltando loro le spalle. Un pezzo alla volta, si sempre più isolata. Assediata dalla cattiva fortuna, con la schiena contro il muro. Questo potrebbe confessarlo a Dana, o è meglio che non lo sappia? Questo senso di fine imminente, di un destino avverso già scritto nella pietra. Apre il mantello-aliante all'ultimo momento utile, lo strattone verso l'alto le disloca una spalla che poi chiederà a Tremaine di rimetterle a posto prima di tornare a casa. L'adrenalina non le fa nemmeno sentire il dolore per tutto il tempo che è in aria.

- - -

Questa casa è sicura, le disse sua madre quando aveva otto anni. Sarete al sicuro, finché rimarrete in questa casa. Lei era una bambina e ci credette, ma salì ugualmente sul tetto, di nascosto, nonostante Justine li volesse tutti nelle loro stanze. Sotto l'uragano, vide sua madre sollevare le braccia con i palmi offerti alle onde minacciose, bracci irregolari del Mississippi che una diga fragile non aveva saputo contenere, a cui non aveva saputo resistere. Ricorda sua madre muovere le labbra, ma non ricorda cosa stesse dicendo. Una cantilena, o forse una preghiera. Ricorda lo spavento di temerla trascinata via, e poi come il fiume d'acqua che l'aggrediva di biforcò di fronte a lei, lambendole l'orlo degli abiti e poi allargandosi sempre di più, lontano dalle fondamenta del loro palazzo. Del loro intero blocco. Ricorda la voce di sua madre più forte, ma non ricorda cosa stesse dicendo. Una promessa, o forse una minaccia. I suoi figli sarebbero stati al sicuro, finché sarebbero rimasti in quella casa. Ma prima o poi l'avrebbero lasciata. Prima Jamal, poi Tariq. Presto Rebecca King. Uno a uno, l'acqua li avrebbe trovati. E sarebbe riuscita a trascinarseli via.

knock-down-drag-out



Ma respira?

I medici dicono di sì, ed è l'unica cosa che possono dirle. E' arrivata dalla palestra del Building, senza neanche passare dalle docce, e indossa la bomber jacket a fiori direttamente sopra la canottiera. La stanza in cui l'hanno portato è singola, vuota. Ha pensato di andare sul posto, al Cimitero, ma i suoi uomini ci sono già, Lucas c'è già. Non poteva neanche rimanere ferma, però. Nell'accostarsi al letto di Maximilian Lee, si sente un'intrusa. Forse dovrebbe andare, ma non vuole lasciarlo solo. Mi può sentire? ha chiesto in corridoio. Probabilmente no.

Si siede. Non vorrebbe, ma stando in piedi le sembra di sovrastarlo, e non vuole incombere come si fa sulle bare aperte dei morti, esposte. Come si fa con i cadaveri: è bianco come un cadavere, immobile come un cadavere, ma deve rifiutare di pensare a lui in quei termini. Respira. A volte respirare è abbastanza.
"Mi dispiace, Lee. La gente dovrebbe essere viva o essere morta. Queste vie di mezzo sono l'inferno."
Lo mormora. Pensava che parlare a un comatoso l'avrebbe fatta sentire stupida, ma dire quelle cose ad alta voce ha un effetto stranamente catartico. Liberatorio. E' ciò pensava quando nessuno sapeva dire con precisione se Lucas sarebbe mai tornato a muoversi: che morire sarebbe stato meglio di scoprire il proprio corpo come una prigione con sbarre fitte. Inscalfibili. Si era scoperta a pensare con risentimento al futuro da badante che l'avrebbe aspettata, al fianco di un uomo infelice e immobile che non avrebbe avuto il coraggio di lasciare. Quando ricorda quelle sensazioni, va a cercare una fede all'anulare di Maximilian. Anche lui ha qualcuno che penserà le stesse cose? O forse quel qualcuno sarà una persona migliore di quanto non sia stata lei? 
"E' questa città. Non ho mai rischiato la vita così tanto che in questa città. Nei reparti speciali dell'esercito ci sono regole, calcoli. Sai cosa accadrà o puoi prevederlo con una discreta approssimazione. Ma combattere contro queste cose-- non ci sono regole. Vale tutto e il contrario di tutto. E questo lavoro..."
Serra le labbra. E questo lavoro? Quando le Special Forces le hanno mostrato la porta, tutto ciò che desiderava era un'altra Prima Linea che la tenesse lontana da casa. Un'altra causa a cui dedicarsi anima e corpo, un altro qualcosa che le facesse alzare i livelli di adrenalina. Che le desse quel brivido.
"... Questo lavoro è la cosa che alla fine ti uccide. E' la responsabilità. La gente che si affida a te, che devi proteggere. E' una zavorra, ti bloccano i piedi. Finché non sei diventato troppo lento, troppo ragionevole, troppo impaurito all'idea di sbagliare. Diventi un bersaglio più facile in un ruolo che ti costringe ad essere esposto. E prima o poi arriva qualcuno che prende la mira e spara. E' un lavoro di merda. Mi dispiace che sia toccato anche a te."
 E' un lavoro di merda, ma ce ne sono di peggiori. Torturare la gente è peggiore. Uccidere dei ragazzini è peggiore. Il pensiero le fora il cervello come un ago, e le fa male. Per non mettersi a piangere deve passarsi una mano sugli occhi e schiarirsi la voce due volte. A spingere i cattivi sentimenti nello stomaco è diventata eccellente, ormai.
"Ma sopravvivere a volte è solo una questione di volontà. Di testa dura prima che di pelle spessa. Io lo so, l'ho fatto. Hanno dovuto rianimarmi, due volte. E ho dovuto rianimare me stessa dalla merda che avevo in testa altre due volte. E sono la figlia di nessuno. Tu sei figlio di un Dio, e non c'è Dio che sappia quanto tempo ho passato a sperare che scompariste dalla faccia della terra e smetteste di causarci problemi. Cristo, vi ho odiato. Quindi prendilo come un voto di fiducia: ti conosco poco. Ma preferirei non scomparisti dalla faccia della terra."
Soffia tra i denti un sorriso nervoso, sbuffato, privo di felicità. Si sfiora la fede che porta all'anulare, piano. Schiude le labbra per dire qualcos'altro, forse, ma il rumore di qualcuno che in fondo al corridoio chiede di Maximilian Lee la convince ad alzarsi. Con le dita, sfiora il bordo del materasso sottile, passandoci affianco. Poi, con la massima discrezione, esce dalla stanza, dirigendosi verso le scale piuttosto che agli ascensori.

your chance to transform


E' quello che fai. Scelte impulsive dettate da emozioni uguali a fuochi d'artificio: spettacolari e brevissime. Un giorno qualcuno ti ha detto di vivere ogni giorno come fosse l'ultimo e hai iniziato a farlo, hai iniziato a impegnarti per sentire ogni cosa al duecento percento come le Forze Speciali ti avevano chiesto di non fare mai. Hai compresso nel petto così tanto dolore e tanta gioia che lo sforzo ti ha cambiato la spina dorsale, l'assetto delle ossa. Nelle vene ti scorre il cherosene, il tuo cuore è un innesco e il battito una miccia. Ti lasci conquistare da passioni che bruciano quanto bruci tu senza pensare che dopo il fuoco c'è la cenere. Ti pentirai di tutto.
All'improvvisato banchetto nella mensa del General Hospital, ai loro ospiti precettati a un arrivo rapido si mischia qualche paziente insonne, attirato dal rumore. Lei indossa un vestito ampio e pieno di colori, e per tutto il tempo non ha fatto che appoggiarsi al suo bastone, poi a Marcus, poi a suo marito. Dal suo posto ascolta, affaticata dalla serata, i racconti di Hoover e dei suoi tempi nell'FBI e nella polizia di New York. Non parla del suo periodo sotto copertura, non parla di niente di cupo, o triste, o doloroso. Non parla di tutti i criminali a cui ha sparato con l'intento di ucciderli. Sembra un uomo nuovo, diverso, con buoni sentimenti e buone intenzioni incastrati nei baffi. Lo ascoltano tutti, anche Iris e Marcus. Lui l'ha accompagnata all'altare come forse avrebbe fatto Antoine Batiste se l'uragano non se lo fosse portato via, la sua perdita sciacquata via da una tragedia più grande e più urgente. Dana ha sparso petali di fiori lungo una navata improvvisata, e lei l'ha percorsa lentamente perché non le venisse il fiatone. Prima di fare il primo passo, a Marcus ha detto: è merito tuo, è merito vostro. Un'ora prima, ha osservato Cameron Levy superare la porta della loro stanza con tutto ciò che lo aveva incaricato di prendere, un collage di oggetti e di promesse che ha trascinato tra le braccia insieme a Dana. Quando ha baciato per la prima volta suo marito, non aveva in circolo abbastanza morfina per non sentire la fitta di dolore che le ha attraversato il petto (le ha urlato nelle orecchie: durerà finché i tuoi nemici non impareranno che l'unico modo per ucciderti è spararti esattamente in mezzo agli occhi).

Ma poi Connor, ubriaco, la solleva di peso dal suo posto e le chiede di ballare. Lei accetta a patto che sia lui a trascinarla, a non farla cascare. A ogni giro che fa,  ben attaccata al suo corpo gelido, gli occhi le tornano sulla tavolata occupata da quella minuscola casa che si è costruita a Philadelphia. E' bassa e fragile, fatta di paglia, inadatta a resistere a un altro uragano. Ma è fatta di persone che provano a fare del loro meglio ogni giorno. E' più di quanto avesse a New Orleans? Di sicuro è più di quanto abbia mai avuto nelle Forze Speciali. Ed è abbastanza.

E' abbastanza perché non l'ha ereditato: l'ha costruito. Ha costruito il rispetto e l'onestà, e ha accettato di dire la verità e di farsi dire la verità. Ha chiesto fiducia, l'ha chiesta ogni giorno. E l'ha ricevuta. Senza aspettarselo, troppo presto o troppo tardi rispetto a quanto pensasse, ma l'ha ricevuta.

Connor la fa di nuovo girare, e lei guarda sulla sua spalla. Lucas le sorride, e lei sorride a lui. Se ha costruito tutto quello, allora forse è in grado di costruire anche qualcos'altro, qualcosa che duri. Un matrimonio.
"Siete tutti bellissimi."
Deve essere il modo in cui la felicità veste i volti delle persone. Li illumina, li rischiara. Dismette ogni ombra, anche la più resistenti.



Wasting on nothing
Effortlessly you appear
Sound of the thunder
Reverberate in your ear
This is a slow dance,
This is a chance to transform,
Pause for the silence,
Inhabit the calm of the storm

This is your ocean
Your ocean of night
This is a motion
Your ocean of night
This is your ocean,
An ocean of night,
This is a notion,
Your ocean of night

Love is a feeling
Buried with me in the yard
Gaze at the skyline,
Under the ocean of stars

This is your slow dance
And this is your chance to transform
Lost to a moment,
The moment you confront the storm

This is your ocean
Your ocean of night
This is a motion
Your ocean of night
This is your ocean,
An ocean of night,
This is a notion,
Your ocean of night

I am your hope down the wire,
So you can hold back the fire

half measure


Il sangue che ti lascia le vene è quello di generazioni di donne gigantesche e uomini troppo minuscoli per tollerarne il peso. Le prime, le tue antenate, nacquero, ma non sei sicura da chi: forse da uomini presi liberi dalle coste occidentali dell'Africa francese e trascinati schiavi nella terra di tutte le opportunità, o forse dagli stessi schiavi haitiani trasportati nelle piantagioni come merce. Vai indietro duecento anni, e quel sangue che stai perdendo appartiene a un uomo che si è rivoltato ai massacri dello zucchero per essere poi represso, braccato come un animale, decapitato dopo un processo sommario, la sua testa esposta a monito. Due secoli pieni, due secoli pieni più tardi i tuoi fratelli sono stati abbattuti come cavalli zoppi. La tua sopravvivenza è un miracolo, la tua stessa esistenza è incomprensibile, inspiegabile: dovresti vergognartene. Cosa sei?

Non sei niente, sei una mezza misura. Una combattente mediocre, una leader insufficiente, un'amante infedele, una figlia e una sorella lontana, una soldatessa insubordinata. Una mulatta, che tu lo voglia riconoscere o meno, che ha dimenticato da dove viene, resa pigra da un uomo troppo indulgente e un buono stipendio in una città piena di locali alla moda; pronta a firmare contratti, mutui, scrivere regole e farle applicare, come se fosse una tua prerogativa. Ma tutto torna alle sue radici quando sanguini: recuperi prospettiva, vedi che nulla di tutto questo ha alcun valore, non ce l'ha mai avuto, è di carta sottile e uno solo gesto può strapparlo in due. 

Perché il cerchio si chiude e tu sei solo un'impostora. Questo non è il tuo posto, questa vita non è la vita che avresti dovuto condurre, la casa che comprerai non è casa tua. Mostri che generano mostri che combattono mostri ma le tue fauci sono solo denti, i tuoi artigli solo unghie, il tuo esoscheletro solo pelle mista, il tuo cuore solo un muscolo che ti verrà strappato dal petto, come hanno promesso. I tuoi sogni, da oggi in poi, sono solo gli incubi che i tuoi nemici ti hanno regalato. La rabbia e il risentimento invece non te li ha piantati nel cervello nessuno: sono sempre stati lì, arpionati alle viscere prima che alla testa. Fanno parte del tuo set genetico non meno degli occhi a mandorla e una leggera propensione alla tossicodipendenza. Hai pensato di essere la persona che si ustiona le braccia dalle mani ai gomiti per salvare una sola persona. Quella che si sacrifica per eliminare una minaccia divina. Quella che rinuncia alla vendetta in cambio della Legge.

Ma cento buone azioni non ne cancellano una cattiva. E quindi sei ancora la donna che ha gettato un borsone nero nel Mississippi e l'ha guardato andare a fondo. E sei, irreparabilmente, la stessa persona che ha permesso e incoraggiato la tortura di un diciassette innocente in un campo carcerario al confine di Israele. 

- - -
"Cosa vuol dire Osley?"
"Il suo vero nome è Camp Oysleyz. E' Yiddish, vuol dire: redenzione."

aeons


Lucas oggi mi ha detto.
Sai che non sono brava in queste cose per cui dirò solo:
Auguri Rebecca. 
 - - - 
Thank you.
Mentirei se dicessi che vedere te e Marcus non abbia influito, in qualche modo. 
- - - 
Me e Marcus... davvero? Perché?

 Tarda a rispondere. Quando è andata al loro matrimonio era sola. Si è seduta in fondo e ha guardato la cerimonia in silenzio. Per tutto il tempo la felicità per un amico si è mischiata all'ansia di non essere destinata, di non essere fabbricata per quel tipo di relazioni che durano per sempre. Di non averne la costanza. Che senso ha giurare a una persona un amore eterno se non si ha garanzia alcuna sull'eternità? Quante volte è finita in ospedale solo negli ultimi dodici mesi? Quante volte Lucas ha lasciato le Special Forces salvo poi tornarci pochi mesi dopo?

Non è un modo di vivere, ha ragione sua madre. Eppure mentre guardava Marcus e Iris dirsi per sempre, ha pensato che per loro non voleva dire dieci, venti, trent'anni. Per loro per sempre voleva dire un secolo, forse due. Che garanzie avevano che due secoli non li avrebbero distrutti, separati, allontanati, uccisi? Però erano lì, di fronte a tutte le persone a loro care, a giurarsi che cento anni dopo sarebbero stati ancora lì.

Mesi dopo, davanti agli occhi ha tutti i suoi mostri. Lucas Black le dice che morire lì gli va bene, se vuol dire non dover passare il resto della sua vita con una persona che ha fatto quello che ha fatto lei. Le sfugge tra le dita, come l'acqua non può trattenerlo stringendo. Il terrore di non saperlo difendere e quello di doverlo difendere da se stessa si mischiano in un'emicrania che le riempie la testa delle parole esatte che le dissero per informarla che suo fratello era morto. Che i suoi fratelli erano morti. La voce di una sconosciuta trova echi in mezzo alle sue tempie, le promette che le strapperà il cuore. Cerca di raggiungere Lucas, di proteggerlo, di trattenerlo. Il dolore improvviso la trascina cento metri indietro. Un telepate, ha detto lui. Un telepate, le martella dietro la nuca quando tutto sembra perduto e minacciano di farle domande. Un telepate potrebbe scoprire tutto. Accarezza l'idea di puntarsi la pistola contro la testa, ma i suoi nemici le tolgono la scelta. Ogni muscolo teso si scioglie e lei non sente più niente. Un cuore debole che pompa nelle vene sangue destinato a lasciarle il corpo. Diventa sempre più pallida. A Iris, alla sua domanda, non ha ancora risposto. Anche potesse, adesso non saprebbe più cosa dirle.

I like it when you drive


"Non pensavo avresti avuto il coraggio di rifarti più viva, Rebecca". Lei sospira a fondo e prende dalle sue mani il bicchiere di cognac che le porge. E' seduta sul bordo di un divano grande, alla sua sinistra una parete scoscesa interamente di vetro da cui filtra il buio della notte. Casa di Michael Green è fatta di linee spioventi e tinte futuristiche, arredamenti essenziali, un bel pianoforte che lui sa suonare alla perfezione. "Avevi ragione tu, l'ultima volta ero ubriaca. Non sarei dovuta venire qui. Scusami". Michael versa per sé un whisky liscio e non finge di non aver visto l'anello di fidanzamento che indossa. "Suppongo tu non sia venuta qui a riprendere il discorso", con un sarcasmo asciutto, infelice. Rebecca sorride. "No. Ho un favore da chiederti". 

"Riguarda il tuo fidanzato?"
"Sì."

Michael è un tipo intelligente, ma ha smesso da anni di felicitarsi ogni volta che ha ragione. Invece soffia tra i denti un sorriso amareggiato e incredulo. Pieno dei fumi dell'alcol.

"Ora io ti risponderò di no, e tu mi risponderai che te lo devo."

Rebecca rimane in silenzio, con il bicchiere in mano e i gomiti sulle ginocchia. Con gli occhi lo segue muoversi stizzito, poi lasciarsi ricadere seduto sulla poltrona di fronte a lei. 

"Ma io non ti devo niente, Direttrice King. Non sei una mia superiore, né lo sei mai stata. Non ti ho mai fatto torti, solo il mio lavoro. E se ora non sei in una prigione militare è probabilmente grazie a me. Se ora sei viva, e ti senti una persona migliore, è perché hai avuto occasioni che senza di me non sarebbero mai state possibili. Quindi non ti devo niente."

Rebecca rimane in silenzio, gli occhi bruni gli premono nei suoi come la punta di un fioretto spinta in avanti con costanza. 

"Non ho bisogno della tua amicizia, né del tuo perdono. Di sicuro non di qualsiasi bolo nero di sentimenti e segreti che avevamo ai tempi di Israele. Sei sempre stata una disonesta. Mi hai usato per non pensare a quello che stavi facendo, e io lì, come un idiota, a darti corda. E ora vieni qui, a chiedermi aiuto. Dopo tutto questo."

Lo sguardo è pieno di buio infetto, contagioso. La sicurezza di Rebecca si infrange come il bicchiere che lui schianta contro il muro di vetro. Lei, presa di sorpresa, trasale. Se non sembra spaventata, sembra di sicuro piena di stupore. Di indecisione, una volta tanto. Rimane sul bordo del divano, mentre guarda Michael riprendere pian piano il controllo su se stesso. Un funambolo che è scivolato nel vuoto. Un inciampo, una mano sola a reggerlo alla corda su cui prova a risalire.

"Avanti", la implora poi, senza il coraggio di alzare la testa. Rebecca tentenna, poi lui ripete più forte: avanti.

"E' tornato da una missione con le Forze Speciali da poche settimane, i fascicoli sono sotto segreto. So che era stato selezionato per neutralizzare un telepate che aveva già fatto parecchie vittime, e che era in Siria. Ma nulla di più. Puoi scoprire cosa gli è successo?"

Michael scuote il capo, lo oscilla, lo ruota. Guarda nella notte. 

"Cosa ti fa pensare che gli sia successo qualcosa?"
"Lo so e basta."
"Se è sotto segreto dubito riuscirò a scoprire qualcosa."
"Ma puoi provare?"

Michael rimane in silenzio. Sospira a fondo. Rebecca sospira a sua volta. Poggia il cognac e si alza in piedi.

"Grazie."
"Deluderai anche lui. Lo sai già. Come hai deluso me."

Rebecca sorride, si sfiora il fianco dove le sembra di aver ricevuto la stoccata. Asciuga il sangue e soffia via il dolore, come le hanno insegnato. Non se la prende, come le hanno insegnato.

"Se ho smesso io di vivere nel passato, magari puoi farlo anche tu", si congeda. Disingaggia e se ne va prima di dargli un'altra occasione di bucarle la pelle. Esattamente come non le hanno insegnato.

- - -

"Ora guida. Mi piace quando guidi."