this can't be the place

E' una ragazzina spericolata che allarga le braccia e procede in bilico lungo il bordo di un tetto. Fa caldo e ha le braccia scoperte, i primi tatuaggi di ribellione già impressi sulla pelle, il primo livello di una storia che è destinata a stratificarsi sulla sua carne a getti d'inchiostro. I polsi ce li ha ancora liberi, nudi di nomi e catene. E' da sola e sta aspettando Thibeaux, che deve portarle il nuovo carico da distribuire per le strade (perché lo sanno tutti che i poliziotti maschi non possono perquisire le ragazzine), e intanto pensa al nuovo paio di scarpe da ginnastica che si comprerà con i soldi che le resteranno in tasca, e magari anche un ipod per sentirci la musica, e una cena completa in un ristorante tutto raffinato fuori da Magnolia, e anche un vestito tutto sberluccicante per entrarci, in quel ristorante. E' arrivata in anticipo per poter stare un po' sola e godersi il silenzio. A casa sua di silenzio non ce ne è mai, e non ce ne è mai per strada, o nei locali, o a scuola - quando si ricorda di andarci -. Dall'alto Magnolia sembra quasi tranquilla. Chiude gli occhi e si sporge in avanti, poi all'indietro. Non la lascerà mai, New Orleans. Nella sua testa, fuori da New Orleans non c'è assolutamente nulla. E' quello il suo posto, le sue quattro mura comode. Farà i soldi con Thibeaux e i suoi ragazzi, finché non la riterranno adatta ad affiancarli. Poi un giorno diventerà la nuova Thibeaux e andrà in giro con macchine modificate con impianti stereo rumorosi, e sarà invitata a tutti i funerali e tutti i matrimoni, e le lasceranno fare il brindisi prima del migliore amico dello sposo. E sarà la regina di Magnolia. Sua madre glielo mormorò la prima volta sulla fronte mentre tutto il quartiere veniva travolto dall'inondazione: questa casa al sicuro. Sarai al sicuro finché rimarrai in questa casa.
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Dodici anni dopo, rientra nella sua bella casa nella Old City di Philadelphia, esausta dopo l'ennesimo litigio con suo fratello. La prima cosa che fa, ancora prima di liberarsi della pistola che porta sotto la giacca, è dar da mangiare al suo cane, Mags. La lascia tuffarsi nella ciotola e raggiunge il divano. Ci si lascia cadere sopra nella semioscurità, lasciando che gli occhi le si perdano nel camino spento ormai da due settimane ininterrotte, nonostante il freddo - lei non ha ancora imparato ad accenderlo -. Controlla per l'ennesima volta il cellulare e non vi trova messaggi. Si toglie la giacca, la pistola, la fondina. Si toglie le scarpe, la camicia e i pantaloni. Poggia tutto ordinatamente sulla poltrona, poi si stende sul divano, lentamente, con gli occhi rivolti verso l'alto. Fa un respiro profondo e lascia che ogni singolo pensiero che le abbia navigato in testa nell'ultimo mese si muova liberamente, fluisca nel corpo ed evapori nell'aria attraverso i pori della pelle.

La faccia sporca di Marshall Rankin e quella pallida di Pearl Quinns sono le prime che le vengono in mente. Si conta le nocche e smette di ripetersi che andrà tutto bene, che il Messico non è una missione suicida e che ne usciranno interi tutti quanti, nessuno escluso - si concede di non pensarlo e, anche se per pochi secondi, rinuncia alla fatica di crederci in maniera incondizionata, quasi dogmatica. Pensa al ragazzo spaurito che ha registrato come vigilante - Oracle, l'analista - e si ripete che se l'hanno voluto deve essere più in gamba della media, più intelligente della media, più in grado di aiutarli a rendere l'operazione meno rischiosa possibile. Si passa i pollici sulle costole, contandole sovrappensiero una a una. Pensa ad Abraham Murphy e trattiene il respiro, premendosi le ossa contro i polmoni nel tentativo di associare al pensiero una reazione fisica negativa. Se le Special Forces sono riuscite a insegnarle a non sentire il dolore, deve allora essere anche in grado di strapparsi dalla pancia la curiosità fisica, il prurito dietro la nuca. Pensa alle parole di Meyer, quando le ha detto che è questione di aver fiducia in ciò che si è costruito. Lei ce l'ha? Non ha mai avuto una casa così grande e così vuota. Si è sentita una stupida quando si è resa conto di non avere foto di sé e Lucas insieme, e adesso si impone di ingoiare il panico nella constatazione che, se gli accadesse qualcosa, non avrebbe nulla a testimonianza del fatto che Lucas Black è esistito, e che per un po' di tempo la sua vita e quella di Rebecca King si sono incrociate, si sono legate e modificate come due elementi complementari in una reazione chimica. 

Sono felice per voi, posso fare il paggetto? Si concentra su quello: su Hoover in abiti da paggetto. Ma riesce ad escludere selettivamente dalla memoria le sue parole più dure solo per poco, e alla fine la sua voce che ripete di non fidarsi le rimbomba nella testa insieme a tutte le altre. Non puoi farti entrare in casa qualcuno che se la fa con Wild. Dovresti iniziare a dormire con un occhio aperto. Alza gli occhi ai limitari delle pareti, là dove Lucas ha installato un sistema di sorveglianza e allarme. Ci sono sensori in tutta la casa. Sensori in tutta la casa registrano la sua solitudine e la malafede che ha offerto a Mihael McRush, un ragazzino che non le ha mai fatto un torto e che forse mai glielo farebbe, un ragazzino che le ricorda suo fratello più piccolo e che avanti di questo passo farà la stessa fine. La frustrazione le sale alla testa, le fa quasi male. Si preme i pugni sugli occhi come se le nocche dovessero scavare nel cranio. E' una vita che non chiama sua madre e forse dovrebbe. Mags, finita la sua cena, le si arrampica sulla pancia e dopo averle camminato addosso prova a leccarle la faccia. Rebecca si fa riscuotere dai propri pensieri un attimo prima di cadere nella spirale discendente con il nome di Andre King forgiato sopra.


he ain't back yet


Lo spettacolo notturno del planetarium ha entusiasmato 'Hild. Ne ha parlato senza sosta per mezz'ora dopo la sua fine per poi addormentarsi sui sedili posteriori della jeep. Quando arrivano a casa sua - che era casa di Reb e sul contratto lo è rimasta anche ora che ci vive un piccolo distaccamento di New Orleans - Rebecca la prende in braccio molto lentamente per non svegliarla, e poi se la porta per tre piani di scale. Suona il campanello un paio di volte prima che qualcuno le venga ad aprire. 

E' Garrika. Le sorride in silenzio e poi entra in casa, andando a depositare la bambina sul divano-letto aperto, accanto a suo fratello già addormentatosi con le cuffiette del cellulare alle orecchie. Garrika poggia una mano sulla spalla di Rebecca e le mostra il caffè ancora caldo poggiato sul tavolo. Vanno a sedersi in piedi, mentre Rebecca si guarda intorno alla ricerca di Andre, senza trovarlo.
- Non è ancora tornato -, Garrika ne indovina i pensieri.
- E' un po' che non lo vedo. Sta bene?
Garrika invece di rispondere china il capo. E' l'unica baby-mama della sua generazione ad aver fatto in tempo a sposare un King prima che morisse tragicamente. Andre se l'è vista brutta più di una volta, in vita sua, ma è riuscito a rimanere brillantemente aggrappato alla vita.
- A volte mi sembra che non sia mai davvero tornato, da quando è uscito di galera. Sono preoccupata e non so come aiutarlo. Non so cosa faccia là fuori.
Rebecca fa scivolare lo sguardo di lato, mentre gli organi interni le scricchiolano pericolosamente. Sa già come andrà a finire.
- Tu magari riesci a stargli dietro. Ha due figli, Rebecca, non voglio che finisca come...
Garrika si interrompe, per scrupolo.
- Come Jamal e Tariq?
- Non posso farcela da sola. Tu sei già stata molto generosa, lo so. Ti siamo tutti grati. Ma ho ancora bisogno di aiuto. Puoi aiutarmi?
Rebecca si stringe nelle spalle. Alla sua famiglia non ha mai detto di no.

you're not ready to walk the green mile


Per favore.
Rebecca è chinata sulle caviglie e tiene tra le mani una ciotola. Sull'uscio di una cella aperta, fissa il pitbull inquieto che si tiene rigorosamente premuto sul fondo della gabbia, pieno di una diffidenza che è riuscita a stento a scalfire in una lunga settimana di incontri quotidiani.
- Per favore. Ho avuto una giornata di merda, in un periodo di merda, e ho davvero bisogno di una vittoria. Mi hanno detto che se non inizi a mostrare almeno qualche segno di miglioramento ti riassegnano alla soppressione. Ho promesso che ti avrei riabilitato. Lasciati riabilitare, porca puttana.
Parla con voce tenue e e calma: le hanno detto di fare così. Il pitbull drizza le orecchie e, sorprendendo forse se stesso per primo, si avvicina lentamente a lei. Senza lasciarsi toccare e di fronte a una donna paralizzata dalla speranza, infila il muso nella ciotola e inizia a mangiare.
- Grazie.