room for peace


Rebecca King prende una bella botta, sviene (quasi muore) e riapre gli occhi in una stanza bianca, con di fronte a sé uno dei suoi fratelli deceduti: Tariq.
- Bel cliché di merda.
- Belché?
- Potevi andare a scuola invece di spacciare e finire ammazzato, stronzo.
- Potevi restartene nell'esercito invece di venire a farti ammazzare dai superumani a Philadelphia, stronza.
Non ha torto. Nelle Forze Speciali aveva più o meno un'idea del nemico. Il nemico aveva un aspetto diverso dal suo, usava armi più o meno simili e non era in grado di fracassarle la cassa toracica con un pugno distratto. 
- In culo all'amuleto della grande voodoo queen di quel cazzo di quartiere, eh?
- Lo sai che devi curarlo, Reba. Altrimenti non funziona.
- Neanche ci credevi tu a quelle cazzate.
- Non credevo in Dio, ma il voodoo? Il voodoo non lo prendi per il culo.
- Beh il voodoo non mi è stato buono a un cazzo, stasera.
Alza gli occhi al cielo, nelle orecchie sente un rombo di legno sradicato, poco dopo una mitragliata di spari. Il suo cuore inizia a battere a ritmo.
- Is your fucktoy out there?
- Shut the fuck up Tariq.
- Questa è tutta cattiva sorte per esserti scopata un bianco. Lo sai, vero?
- E' cattiva sorte per essermi fatta prendere a pugni da un carrarmato, più probabilmente.
- You don't say?
- Chi ti sei scopato, tu, per farti ammazzare?
Tariq si stringe nelle spalle e non risponde più. Rebecca non si lascia più ferire dal suo silenzio. Si siede per terra a gambe incrociate e chiude gli occhi, come Tara le insegnò a fare, finché nell'aria non risuona il rumore delle sirene e poi qualcuno che la chiama per nome. Agente King? Agente King, Rebecca: la stiamo aspettando da questa parte, agente.

strawberry fields


Ha salito gli scalini due alla volta fino al suo piano, scavalcando il senzatetto che si rifugia nell'androne del palazzo quando piove ma lasciandosi dietro qualche dollaro. Con chiavi e cellulare in mano, ha superato l'appartamento dei Johnson senza ricordarsi di attraversare il corridoio in punta di piedi (è troppo impegnata a digitare un messaggio). E' un errore fatale: Malia spalanca la porta e le rivolge un sorriso da cane bastonato che Rebecca preferirebbe non vedere. "Stasera Martin è un po' su di giri", le dice piano, e di Martin le si contano cinque dita disegnate sullo zigomo. "Non è che guardi i bambini? Così stanno un po' tranquilli". 

Rebecca accetta malvolentieri. I bambini sono tre, il più piccolo ha cinque anni (Jaquil), quella in mezzo sette (Strawberry), quello di dieci invece si chiama Gordon. Non ha mai capito la logica dietro l'onomastica di casa Johnson.

Casa sua è un buco minuscolo di due stanze più bagno, sospeso in un perenne stato di ristrutturazione di cui sta provando a occuparsi lei nei momenti liberi. Ma è pulita. E' pulita e ordinata con la mania chirurgica dei militari che fanno fatica a riadattarsi alla vita civile. Ogni cosa ha un luogo preciso, ogni spazio è ottimizzato. I libri che ha - la maggior parte dei quali usati per approfondire la preparazione richiesta per operare tra Syria, Libano e Giordania - sono nascosti nella cassapanca sotto il letto rifatto con un paio di lenzuola pulite e stirate. Le finestre splendenti sono chiuse sulle inferriate antifurto, necessarie nonostante sia al terzo piano. Anche i barattoli di stucco e vernice, quando non in uso, vengono chiusi, puliti, e disposti in ordine decrescente in un angolo. La prima cosa che i bambini fanno è andare ad aprirle il frigo, ma sembrano delusi quando lo trovano completamente vuoto.

* * *

Jaquil e Strawberry le si sono addormentati addosso di fronte alla tv, e lei evita di muoversi per non svegliarli. Gordon è accanto a lei, si è impadronito del telecomando e si annoia a fare zapping, ma non ha sonno. Ogni tanto guarda verso il muro che comunica con casa sua, preoccupandosi della calma dopo la tempesta. Perché sua madre non viene a prenderlo?
- Mio padre dice che sei scema.
- Lo dice?
- Dice che ti sente scartavetrare i muri la notte.
Rebecca ride molto piano, sopprimendo il sussulto della pancia quando Jaquil minaccia di svegliarsi con un lamento da topolino.
- Lo devo fare per togliere lo sporco e livellare lo stucco.
- Perché?
- Perché poi devo dare la vernice.
- No intendo... che ti frega? Tanto quando non paghi ti cacciano, qui ognuno si tiene le case come vengono.
Guarda verso il basso, affondando delicatamente le dita tra i ricci soffici di Strawberry e le carezza la fronte con il pollice. Ne guarda i lineamenti sovrappensiero.
- Se vivi nello schifo fa schifo anche la tua vita. Se casa tua è curata, saprai prenderti cura anche di ciò che hai attorno. Di quello che ti succede.
Gordon la osserva a labbra schiuse, appeso alle sue parole come un pesce all'amo. Quando sente lo sguardo di Rebecca tornare su di lui, però, stringe le spalle e scrolla il capo, imbronciato e dall'aria tutt'altro che convinta.
- Perché non viene a prenderci?
Rebecca sospira, guarda il muro.
- Si sarà addormentata. Prova a dormire un po' anche tu.